śiva

glossario

Published: May 27, 2020 by

śiva / post di Diego Manzi

L’immagine antropomorfa più diffusa di Śiva lo mostra bello, cosparso di cenere, vestito di bianco e indossante una pelle di tigre o di elefante, con il cordoncino sacro, con tre occhi, con una luna crescente sulla fronte e con due orecchini: uno a forma di makara e l’altro, simboleggiante la sua paredra, circolare e con un foro al centro. Dai suoi capelli arruffati e sovente raccolti in una specie di crocchia, poi, scorre la bianca Gaṅgā, mentre al collo reca una collana di perle e alcuni serpenti. Le quattro braccia con le quali è raffigurato il dio, infine, recano di solito i seguenti attributi: un tridente, una scure, il gesto di allontanare la paura e quello di concedere la grazia. Ciononostante, non mancano raffigurazioni inclusive di altri attributi come la lancia Pāśupata, l’antilope rampante, l’arco Pināka, una mazza, un cappio, la ghirlanda di rudrākṣa, oppure il tamburello a forma di clessidra. Non mancano neppure immagini del dio, in cui quest’ultimo reca il rosario, il tamburello e il tridente, il quale, oltre al dominio sui tre mondi, sta ad indicare il dominio sulla triplice matrice dell’ego: il corpo, la mente e l’intelletto. Solitamente, sullo sfondo di queste rappresentazioni del dio si vede il monte Himālaya con la cima innevata, la quale simboleggia la purezza assoluta della mente necessaria al meditante per scorgere la propria divinità. Ciononostante, va altresì evidenziato che gli occhi di Śiva non sono né chiusi (indice di totale rinuncia al mondo), né aperti (indice di inclinazioni intramondane). Il dio, infatti, è rappresentato con gli occhi socchiusi (samabhāvī-mudrā), ad indicare piuttosto che una parte, il corpo, può essere coinvolto nel mondo; mentre un’altra parte, lo spirito, deve essere necessariamente sottratta dalle dinamiche terrene.

(Incanto, le divinità dell’India)

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vānaprastha
vānaprastha

van- , vb. cl. 1, piacere, amare, sperare, desiderare; ottenere, acquisire; conquistare, vincere;

liṅgam
liṅgam

“Generalmente la centralità nei templi dedicati al Dio spetta al liṅga. Esiste una molteplicità di liṅga. Rappresentazione della potenza allo stato puro prima e nonostante la manifestazione, il liṅga è l’emblema per eccellenza di śiva, esso rappresenta parzialmente l’energia sessuale e la procreazione, ma è soprattutto potenza distruttrice: se il liṅga, a causa di una maledizione, si stacca dal corpo di śiva e cade a terra l’universo si spegne o comincia bruciare ogni cosa, finché non viene posta nella yoni di parvatī ove la sua forza distruttrice si placa; la yoni rappresenta la base su cui il liṅga è istallato, simbolo della śakti con la quale il Dio è perennemente unito. Nei pancamukha-liṅga (liṅga con cinque volti) ci sono in realtà quattro volti, il quinto è il liṅga come forma trascendente di śiva. Nei sancta sanctorum dei templi i la mūrti che si incontra più frequentemente non è una vera e propria mūrti, bensì il liṅga che prima di essere un oggetto concreto di culto è il segno di una Realtà sottile che permea tutte le cose: “il liṅga è nel fuoco per coloro che si dedicano ai riti, nell’acqua, nel cielo, nel sole per gli uomini saggi, nel legno e in altri materiali solo per gli sciocchi; ma per gli yogin è nel proprio cuore. (īśvara-gītā, Il Canto del Signore [śiva]). Gli śivaliṅga sono infiniti, dice lo śiva-purāṇa, e l’intero universo è fatto di liṅga giacché tutto è forma di śiva e null’altro esiste realmente; il liṅga in altre parole è il brahman (īśvra-gītā 10, 1 e 3).”