neti neti

problemi di traduzione

Published: Jun 12, 2020 by

Come si traduce la celebre formula di negazione, citata nella bṛhadāraṇyaka upaniṣad, neti neti?

neti è formato da na = no e iti = così. Solitamente si traduce con “non è così, non è così”.

Il prof. Marcello Meli in un post del gruppo “impariamo il sanscrito” contesta questa traduzione. Afferma che « neti non significa “non così” ma semplicemente “no” in un discorso indiretto. “neti mayā uktaṃ” “dissi di no”, “Dissi no”… La traduzione “non così” venne con buone ragioni criticata già quasi un secolo fa dallo Stcherbatsky, uno dei massimi studiosi di logica buddhista…La locuzione neti neti vale “Qualsiasi predicato tu voglia attribuire all’ ātman, deve essere negato”.»

Il Glossario Parmenides scrive:

Mediante questa forumula il jñānin trascende successivamente tutto ciò che è apparenza per arrivare finalmente alla sola Realtà, il brahman. La formula neti neti esprime il duplice processo coscienziale della discriminazione (viveka) e del distacco (vairagya) mediante il quale il jñānin trascende successivamente nāmarupa, upādhi, kośa e avasthātraya, cioè tutte le sovrapposizioni di natura relativa e transitoria, pervenendo infine a svelare in se stesso il sostrato permanente e assoluto (ātman- brahman). Invece con la formula opposta, «è così, è così» (itīti), il jñānin comprende gradualmente la totalità, che è oggetto di percezione, ecc., risolvendola nella Realtà dell’Unico (Chā. 3.14.1). L’insieme delle due formule: neti neti e iti iti rappresenta simbolicamente il ciclo che la coscienza del discepolo deve percorrere e reiterare per trascendere completamente la condizione di māyā e realizzare l’Assoluto-brahman e costituisce perciò l’essenza della sādhanā nel jñānayoga.

A proposito di itīti il Glossario Parmenides scrive:

(cong, iti+iti): “è così, è così”, “è questo, è questo”: formula positiva-affermativa di identificazione, inclusione (anvaya) e integrazione. Contrario di neti neti (Br. 2.3.6) - che significa: “non è così, non è così”, “non è questo, non è questo” (na+iti) ed è una formula negativa o apofatica di disidentificazione - esclusione (vyatireka) - esprime l’inclusione di ciò che è stato precedentemente escluso come a se stante (‘‘è anche questo, ecc.”). Per es. del brahman si dice: neti neti, allo scopo di escludere qualsiasi definibilità od aggettivazione in quanto rappresenta il fondamento del “fenomeno manifestato” (il questo =iti iti), fenomeno che occorre integrare per non creare dualità. Per una realizzazione integrale l’ente deve non solo operare il neti neti ma deve accogliere in sé anche l’iti iti perché la Causa principiale e l’effetto-manifestazione non sono il nulla. Così, si parte dal brahman e si ritorna al brahman concludendo il ciclo della peregrinazione dell’ente.

Latest Posts

vānaprastha
vānaprastha

van- , vb. cl. 1, piacere, amare, sperare, desiderare; ottenere, acquisire; conquistare, vincere;

liṅgam
liṅgam

“Generalmente la centralità nei templi dedicati al Dio spetta al liṅga. Esiste una molteplicità di liṅga. Rappresentazione della potenza allo stato puro prima e nonostante la manifestazione, il liṅga è l’emblema per eccellenza di śiva, esso rappresenta parzialmente l’energia sessuale e la procreazione, ma è soprattutto potenza distruttrice: se il liṅga, a causa di una maledizione, si stacca dal corpo di śiva e cade a terra l’universo si spegne o comincia bruciare ogni cosa, finché non viene posta nella yoni di parvatī ove la sua forza distruttrice si placa; la yoni rappresenta la base su cui il liṅga è istallato, simbolo della śakti con la quale il Dio è perennemente unito. Nei pancamukha-liṅga (liṅga con cinque volti) ci sono in realtà quattro volti, il quinto è il liṅga come forma trascendente di śiva. Nei sancta sanctorum dei templi i la mūrti che si incontra più frequentemente non è una vera e propria mūrti, bensì il liṅga che prima di essere un oggetto concreto di culto è il segno di una Realtà sottile che permea tutte le cose: “il liṅga è nel fuoco per coloro che si dedicano ai riti, nell’acqua, nel cielo, nel sole per gli uomini saggi, nel legno e in altri materiali solo per gli sciocchi; ma per gli yogin è nel proprio cuore. (īśvara-gītā, Il Canto del Signore [śiva]). Gli śivaliṅga sono infiniti, dice lo śiva-purāṇa, e l’intero universo è fatto di liṅga giacché tutto è forma di śiva e null’altro esiste realmente; il liṅga in altre parole è il brahman (īśvra-gītā 10, 1 e 3).”