rudra namakam 1 - ṛk 16




nama̍ste , astu bhagavan viśveśva̱rāya̍ mahāde̱vāya̍
tryamba̱kāya̍ tripurānta̱kāya̍ trikāgnikā̱lāya̍
kālāgniru̱drāya̍ nīlaka̱ṇṭhāya̍ mṛtyuñja̱yāya̍ sarveśva̱rāya̍ sadāśi̱vāya̍ śrīmanmahāde̱vāya̱ nama̍ḥ ||16||

| namaḥ | te | astu | bhagavan | viśveśvarāya | mahādevāya | tryambakāya | tripurāntakāya | trikāgnikālāya | kālāgnirudrāya | nīlakaṇṭhāya | mṛṭyuñjayāya | sarveśvarāya | sadāśivāya | śrīmanmahādevāya | namaḥ

| Saluto |a te |sia | O bhagavan |Signore dell’universo | al grande Dio | a colui che ha tre occhi| distruttore di tripura| a colui che controlla i tre fuochi nel tempo | a Rudra, fuoco del tempo | a Colui dal collo blu | al vittorioso sulla morte |Signore di tutto | eternamente benevolo | al glorioso grande Dio | saluto |


Saluto a te (namaste) sia (astu), O Dio (bhagavan), al Signore dell’Universo (viśveśvarāya), al grande Dio (mahādevāya), a Colui che ha tre occhi (tryambakāya), al distruttore dei tre mondi (tripurāntakāya), a Colui che controlla i tre fuochi del tempo (trikāgnikālāya), a Rudra, fuoco del tempo (kālāgnirudrāya), a Colui che ha il collo blu (nīlakaṇṭhāya), al vincitore della morte (mṛtyuñjayāya), al Signore di tutto (sarveśvarāya), all’eternamente propizio (sadāśivāya), riverenze al glorioso grande Dio (śrīmanmahādevāya namaḥ).
Porgo il saluto a te , O Bhagavan , al Signore dell’Universo, al grande Dio, a Colui che ha tre occhi , al distruttore dei tre mondi, a Colui che controlla i tre fuochi del tempo, a Rudra, fuoco del tempo, a Colui che ha il collo blu, al vincitore della morte , al Signore di tutto, all’eternamente propizio, riverenze al glorioso grande Dio . |

Questa ghirlanda (mālā) di epiteti rivolti a Rudra non fa parte del KYV taittirīya saṃhitā, ma viene tradizionalmente recitata nell’India del Sud, dove la devozione a Śiva è profondamente radicata.


traduzione di Rajagopala Aiyar Versione 1:
Porgo il mio saluto a quel Bhagavān, Signore dell'universo, il grande Dio dai tre occhi, colui che distrusse le tre città asura, simbolo del momento del sandhyā quando si accendono i tre fuochi sacri e si fanno offerte, Rudra, il Dio consumatore che distrugge l'universo, dal collo blu, che ha conquistato la morte, Signore di tutto, sempre propizio; saluto a quel glorioso e grande Dio."

Versione 2:
I miei saluti vadano a quel Bhagavān, Signore dell'universo; il grande Dio dai tre occhi; distruttore di tripurā, le tre città degli Asura; simbolo del sandhyā quando si accendono i tre fuochi sacri; Rudra, il fuoco che consuma l'universo; dal collo blu; vincitore della morte; Signore di tutti; sempre benevolo; saluto a quel glorioso e grande Dio.

esplorando i commentari 1. Quest'ultimo ṛk del primo anuvāka, benché non faccia strettamente parte del Rudram e non sia stato commentato dai commentatori tradizionali, è comunque ripetuto alla fine del primo anuvāka secondo il pāṭhakrama del sud e incluso nel commentario sul Rudram di A. Śaṅkara pubblicato dalla Vanivilas press. Quindi è stato incluso qui e tradotto.
2. La pratijñā, secondo i tarkika, è che Rudra è bhagavān, come spiegato nel ṛk 10.
Dieci qualità sono menzionate qui per giustificare il titolo di bhagavān:
(a) È viśveśvara, Signore dell'universo.
(b) È il grande tra gli dei.
(c) Ha tre occhi, il sole e la luna costituiscono i Suoi due occhi, e il terzo è lo spirituale nella Sua fronte, che aprì quando bruciò Kāma, il Dio dell'Amore.
(d) Tre asura fecero penitenza e acquisirono poteri soprannaturali. Gli dei non poterono conquistarli, ma Rudra li bruciò con il Suo terzo occhio. Allegoricamente, rappresenta la conoscenza spirituale che brucia le tre fasi ignoranti dell'uomo - veglia, sogno e sonno senza sogni.
(e) thrikāgnikalaya significa il tempo del sandhyā o crepuscolo di mattina e sera quando si accendono i tre fuochi sacri dell'agnihotra - āhavaniya, dakṣiṇa e anvāhārya pachana.
Un'altra lettura della parola è: thrikālāgnikalaya - Colui che è il tempo finale del pralaya quando i tre fuochi della distruzione bruciano e consumano completamente l'universo.
(f) È kalāgni Rudra: è Rudra il distruttore, una delle tre attività divine di creazione, mantenimento e distruzione.
(g) È nīlakaṇṭha, che bevve il veleno kalakūṭa per proteggere il mondo.
(h) È mṛtyuñjaya, il Vincitore della Morte. Anche se, nella Sua forma di Rudra, Dio distrugge quotidianamente l'ignoranza, Egli conferisce l'immortalità ai Suoi devoti. Rudra ottenne questo titolo quando salvò Markandeya. Fu predetto che questo ragazzo sarebbe morto all'età di 16 anni, ma egli decise di smentire questa profezia. Divenne il più grande devoto di Śiv e adorò devotamente il śivaliṅgam. Quando Yama venne a prendere la sua vittima nel giorno stabilito, quest'ultimo si aggrappò allo śivaliṅgam che stava adorando. Yama gettò il suo cappio sul ragazzo e sul liṅgam e tentò di trascinarli via entrambi. Il Liṅgam scoppiò e da esso uscì l'arrabbiato Rudra, che allontanò Yama con un calcio e conferì l'immortalità al Suo bhakta. La storia è trattata nel mārkaṇḍeya purāṇa. Tutte le creature hanno paura della morte, "proteggimi dalla morte", è il grido universale. L'unica persona che può proteggere l'uomo è il grande kalakāla - la morte della morte, da cui il dio della morte stesso sta in timore, come dichiara il bhāgavatam.
(i) È sarveśvara. Anche se viśveśvara è già stato menzionato, il veggente vuole renderlo onnicomprensivo affermando che Rudra è il Signore di tutto ciò che è animato e inanimato.
(j) È sadāśiva, l'eternamente propizio.
(k) In stile tarka, si conclude con questa nigamana: "Io, lo śrī rudram vedico, ho affermato fin dall'inizio che Rudra è bhagavān e ho dimostrato tale affermazione: ho dichiarato che Egli è mahādeva; ora, alla fine, ribadisco e sottolineo che Egli è anche śrīmān mahādeva, il grande e glorioso Dio."

Note del curatore:
  1. Il termine pāṭhakrama si riferisce all'ordine o alla sequenza di recitazione di testi sacri, e l'aggettivo "del sud" indica una tradizione o una pratica specifica seguita nel sud dell'India. Pertanto, il "pāṭhakrama del sud" si riferisce a una particolare tradizione di recitazione o a un insieme di pratiche liturgiche seguite nel sud dell'India per la recitazione di testi sacri, come lo śrī Rudram o altri inni vedici e puranici.
    Esistono diverse scuole di recitazione (chiamate śākhā) che hanno sviluppato propri metodi unici per la pronuncia, l'intonazione e la sequenza di recitazione dei mantra e degli inni sacri. Queste variazioni possono riflettere differenze regionali, tradizioni di scuole specifiche (sampradāya) o linee di trasmissione (paramparā). Torna al testo

  2. La pratijñā" si traduce generalmente con "promessa", "voto" o "dichiarazione solenne". Specialmente nel contesto dei dibattiti filosofici o logici (nyāya), la pratijñā è un'affermazione iniziale o una tesi che una persona si impegna a dimostrare. È il punto di partenza di un argomento o di una discussione, stabilendo ciò che verrà sostenuto o dimostrato nel corso del dialogo.
    Nel contesto della filosofia e della logica indù (tarka), la pratijñā è uno degli elementi chiave di una sequenza argomentativa chiamata nyāya sūtra, che include passaggi come:
    pratijñā: La dichiarazione della tesi che si intende dimostrare.
    hetu: La ragione o la causa che supporta la tesi.
    udāharaṇa: L'esempio che illustra la tesi.
    upanaya: La conferma che l'esempio si applica al caso in questione.
    nigamana: La conclusione che riassume la dimostrazione della tesi.
    Questo metodo è stato usato per strutturare dibattiti filosofici rigorosi e per esplorare varie questioni metafisiche, etiche e spirituali. La pratijñā serve quindi come fondamento su cui costruire un argomento logico e persuasivo, sottolineando l'importanza di un approccio strutturato e sistematico al ragionamento e alla discussione filosofica. Torna al testo

  3. Nel contesto dei tarkika, ossia gli studiosi della scuola indiana del nyāya (logica), la pratijñā assume un ruolo centrale nella struttura dell'argomentazione logica. I tarkika, che si dedicano allo studio e all'applicazione dei principi della logica e del dibattito, utilizzano la pratijñā come punto di partenza di un'argomentazione formale, stabilendo la tesi o l'affermazione che intendono provare attraverso il ragionamento logico.
    Per i tarkika, la pratijñā non è solo una semplice dichiarazione o promessa, ma è la proposizione fondamentale o l'affermazione che si cerca di dimostrare attraverso un ragionamento logico supportato da evidenze. La pratijñā è quindi il cuore di un syllogismo nyāya, che si svolge attraverso una sequenza precisa di passaggi per giungere a una conclusione valida e sostenibile.
    Questa enfasi sulla struttura dell'argomentazione e sulla chiarezza della tesi riflette l'approccio rigoroso dei tarkika all'indagine filosofica e logica. Attraverso l'uso della pratijñ, si impegna l'interlocutore in un percorso di indagine che mira a stabilire la verità o la validità di una certa proposizione attraverso l'analisi, la discussione e l'applicazione dei principi della logica. Torna al testo

  4. Il nigamana è l'ultimo dei cinque membri (panchāvayava) (vedi nota2) di un syllogismo logico standard nella scuola nyāya. È la conclusione in cui la tesi iniziale (pratijñā) viene ribadita come provata o dimostrata attraverso il ragionamento logico.
    Nel nigamana, l'argomento viene riassunto e la tesi iniziale dichiarata come logicamente dimostrata, chiudendo l'argomentazione. Questo passaggio è cruciale per assicurare che l'argomento sia completo e che la conclusione sia chiaramente legata alla tesi iniziale e supportata dalle evidenze presentate. Lo stile tarka, quindi, culmina nel nigamana, dove l'affermazione iniziale è confermata come valida e sostenibile attraverso un processo logico e strutturato di argomentazione. Torna al testo





La recitazione è dei Challakere Brothers.
Su www.saiveda.net il tutorial per la recitazione: tutorial

te, pron. enclave. gen. sg. m. di tvad, tu, di te

astu, vb. cl. 2 (adādi gaṇa) 3ª p. sg. imp. di √as-, essere, sia

bhagavan, agg. / sm. voc. sg. di bhagavat, agg. 1. fortunato, beato, prospero, felice; 2. glorioso, illustre, divino, adorabile, venerabile; 3. sacro (riferito a Dèi, semidei); sm. divino o adorabile;

  • bhaga-, sm. “dispensatore”, I. signore benevolo, patrono (riferito agli Dei, spec. a Savitṛ), buona fortuna, felicità, benessere, prosperità (RV; AV; Br; Yājñ; BhP); Sei sono i ṣaḍguṇa (gli attributi, le perfezioni) che caratterizzano bhaga:

    1. aiśvarya: Sovranità, potere o signoria. Questo attributo implica il controllo supremo e l’autorità incontestata di una divinità.
    2. dharma: Virtù, giustizia, dovere. Rappresenta la moralità, la rettitudine e il mantenimento dell’ordine e della giustizia nell’universo.
    3. yaśaḥ: Fama o gloria. Questo attributo indica una reputazione celestiale e la lode universale.
    4. śrī: Bellezza, splendore, grazia. È associato all’attrattiva, alla maestosità e alla magnificenza divina.
    5. jñāna: Conoscenza, saggezza. Si riferisce alla consapevolezza completa e alla comprensione universale, oltre alla capacità di percepire la verità ultima.
    6. vairāgya: Disinteresse, distacco. Questo attributo implica l’indifferenza verso i desideri mondani e l’attaccamento materiale, indicando una visione trascendentale.
  • √bhaj-, vb. cl. 1, dividere, distribuire, ripartire o spartire (dat. o gen.); 2. condividere con (str.); 3. Ā. concedere, fornire, garantire, provvedere;

  • -vat , Il suffisso -vat i è utilizzato per formare aggettivi e ha un significato particolare. Esso indica la presenza o il possesso di una qualità, caratteristica o proprietà specifica indicata dalla parola alla quale viene aggiunto. In pratica, trasforma una parola in un aggettivo che significa “dotato di” o “che ha la qualità di” la parola di base.

    Qui, in bhaga, che può significare prosperità o benedizione, aggiungendo il suffisso -vat si forma bhagavat, che significa “colui che è dotato di benedizione” o “colui che possiede prosperità”, “colui che possiede i sei ṣaḍguṇa”.

viśveśvarāya sm. dat. sg. di viśveśvara-, signore dell’universo;

  • viśva-, agg. 1. tutto, ogni, ognuno; 2. intero, universale (RV); 3. che pervade o che contiene il tutto, onnipresente. È un prefisso che indica universalità o totalità.

  • īśvara-, sm. sf. signore, principe, re, signora, regina (AV; ŚBr); sm. 1. marito; 2. Dio, essere supremo; 3. anima suprema;

  • īś-, vb. cl. 2, possedere (RV; MBh); 2. appartenere a (RV); 3. disporre di, essere valido o potente; 4. essere signore di (gen. o loc.), (RV; AV; ŚBr); 5. comandare, governare, regna- re (RV; AV; ŚBr);

  • viśveśvara- è un composto karmadhāraya. Nel karmadhāraya, il primo membro del composto, viśva, che significa “tutto”, funziona come un aggettivo che qualifica il secondo membro, īśvara, che significa “signore”. Insieme, questi formano un composto in cui il primo termine descrive o specifica il secondo, e l’intero composto si comporta come un’entità unica con un significato che è la fusione dei significati delle parole componenti.

    Quindi, in viśveśvara, il composto viene a significare “il signore di tutto” o “il signore dell’universo”, combinando l’idea di universalità (viśva) con quella di sovranità o signoria (īśvara).

mahādevāya sm. dat. sg. di mahādeva- 1. “grande divinità”, N. di Rudra; 2. N. di Śiva; 3. N. di una delle loro divinità assistenti (AV); 4. N. di una delle otto forme di Rudra o Śiva

  • mahat + deva è pure un composto karmadhāraya (vedi sopra)
  • mahat-, agg. 1. grande (in spazio, tempo, quantità o grado), i.e vasto, grosso, enorme, ampio, esteso, lungo, abbondante, numeroso, considerevole, importante, alto, eminente (RV); . mahat- diventa mahā- nei composti. Jean Varenne nella sua grammatica che ho tradotto scrive: “un numero molto piccolo di parole ha una forma compositiva particolare: così mahant- “grande” diventa mahā-.” E Louis Renou nella sua Grammaire de la langue védique che anche ho tradotto, scrive: “Tipicamente compositivo è la forma mahā° “grande/grandemente” di fronte a máh- e mahá-; è costruita secondo il nt. máhi (alternanza ā/i) 259, che figura anche lui qua e là come parte anteriore.”
  • deva-, agg. celeste, divino (RV; AV; VS; ŚBr); sm. 1. divinità, dio (RV, etc);
  • √div-, vb. cl. 4, tra l’altro significa “giocare”, questa radice può essere collegata simbolicamente a vari aspetti dei deva, che possono essere intesi come partecipanti in un gioco cosmico o divino.


tryambakāya, sm. dat. sg. 1. “dai tre occhi” (in origine prob., “dalle tre madri”), Rudra o Śiva;

  • tri- agg. numero tre (RV).
  • ambaka- sn. 1. occhio di Siva; 2. occhio;
  • try-ambaka- è un composto bahuvrīhi, in cui il composto stesso non descrive nessuno dei suoi elementi costitutivi, ma piuttosto qualcosa che possiede le qualità di quegli elementi. In questo caso, try-ambaka si riferisce a una divinità, tipicamente Rudra/Śiva, che è nota per avere tre occhi.


tripurāntakāya, sm. dat. sg. di tripurāntaka-, Śiva come distruttore di tripura-, la tripla città demoniaca .

  • tripura-, è una città mitica, spesso descritta come composta da tre città (da cui il nome tripura. Secondo la leggenda, queste città furono costruite di oro, argento e ferro dagli asura, una classe di esseri potenti spesso in conflitto con gli dei. tripura è nota per essere stata distrutta da Śiva, che è intervenuto per porre fine al regno degli asura che minacciavano l’ordine cosmico.
  • Come il precedente, anche questo è un composto bahuvrīhi, si riferisce a qualcuno o qualcosa che ha o è associato con le caratteristiche menzionate nel composto, ma non è nessuna delle parole nel composto. tripurāntaka- si riferisce a Rudra come colui che ha distrutto le tre città (tripura). Nel suo insieme il termine si riferisce a Rudra, che ha la qualità di essere il distruttore di queste tre città, piuttosto che essere letteralmente tre città o il loro distruttore. Quindi, il composto bahuvrīhi qui funziona come un epiteto che descrive una qualità o un’azione notevole di Rudra.
  • tri- agg. numero tre (RV).
  • pura-, sn. (ifc. sf. ā)* 1. fortezza, castello, città, cittadina (luogo che contiene grandi edifici circondati da un fossato).
  • -antaka, agg. che produce una fine, che causa la morte;
  • Il suffisso -antaka nel sanscrito è un suffisso che significa “colui che pone fine a” o “distruttore di”. È spesso utilizzato per formare nomi di persone o divinità che sono noti per aver distrutto, concluso o terminato qualcosa. Il suffisso trasforma un nome o un sostantivo in un aggettivo o in un altro nome che indica l’agente dell’azione di distruggere o porre fine. In tripurāntaka, epiteto di Śiva, tripura- si riferisce alle “tre città” e -antaka indica colui che pone fine a queste città. Quindi, tripurāntaka” significa “colui che pone fine alle tre città”.

trikāgnikālāya, sm. dat. sg., epiteto di Rudra. Combinado i tre elementi di cui è costituito, trikāgnikālāya può essere tradotto come “relativo ai tre fuochi nel tempo” o “colui che controlla i tre fuochi nel tempo”. Questa interpretazione simbolica collega il concetto di tempo (Kāla) con il fuoco sacrificale (Agni), che è centrale nei rituali Veda.

  • trika-, agg. 1. triplo, triplice, che forma una triade (RV X, 59,9; Suśr)

  • agni-, sm. 1. fuoco; 2. fuoco sacrificale (di tre tipi, gārhapatya, āhavanīya e dakṣiṇa)

  • kāla-, sm. momento opportuno, lasso di tempo, tempo

  • si tratta di un composto bahuvrīhi. trikāgnikālāya non descrive direttamente i suoi componenti, ma descrive piuttosto qualcuno o qualcosa che ha le caratteristiche o le qualità degli elementi del composto. In altre parole, il composto stesso funziona come un epiteto o un appellativo. Quindi, il composto bahuvrīhi trikāgnikālāya si riferisce a Rudra che controlla o domina sui “tre fuochi nel tempo”, con una connessione al concetto di tempo o ciclicità.

  • I tre fuochi sono:

    1. gārhapatya: Questo fuoco rappresenta il fuoco domestico e simboleggia il capofamiglia. È il fuoco centrale e permanente, intorno al quale si svolgono i rituali quotidiani.
    2. dakṣiṇa: Letteralmente significa “fuoco meridionale”. Questo fuoco è associato ai riti e alle offerte agli antenati e alle divinità. È spesso descritto come semicircolare o a forma di arco.
    3. āhavanīya: Questo è il fuoco sacrificale principale, situato a est del fuoco domestico. È qui che vengono fatte le offerte principali e dove si svolgono le cerimonie più importanti.

    Questi tre fuochi sono collocati in specifiche disposizioni e hanno diversi significati simbolici. Sono considerati essenziali per la corretta esecuzione dei rituali Veda, poiché ogni offerta deve passare attraverso il fuoco sacro per raggiungere la destinazione divina. Agni, il dio del fuoco, è considerato un mediatore tra gli umani e il regno divino, testimone di tutte le transazioni sacre e benefattore e protettore delle persone e delle loro case.

kālāgnirudrāya, sm. dat. sg. , a Rudra che è il fuoco del tempo

  • kālāgni-, sm. fuoco che deve distruggere il mondo, conflagrazione alla fine del tempo.
  • rudra-, sm. 1. “colui che ruggisce e che ulula”. N. del dio delle tempeste e padre e sovrano dei Rudra e dei Marut: 2. N. del numero undici (dagli unidici Rudra);
  • √rud-, vb. cl. 2 P. 1. piangere, gridare, ululare, ruggire, lamentarsi, gemere (RV)
  • Il composto kālāgnirudra- è classificato come un composto karmadhāraya.Il primo elemento del composto funge da aggettivo o qualificativo per il secondo elemento, che è di solito un sostantivo. In questo caso, kālāgni (fuoco del tempo) funge da qualificativo per rudra. Il composto karmadhāraya descrive quindi Rudra con l’attributo del “fuoco del tempo”, indicando Rudra come signore o incarnazione di questa potenza cosmica. Il concetto di “kālāgni” enfatizza l’aspetto distruttivo e trasformativo associato al tempo, mentre rudra è una divinità che incarna tali qualità, che domina o controlla questo fuoco.

nīlakaṇṭhāya, agg. dat. sg., dal collo blu sm. N. di Śiva (poiché ha la gola nero-blu per aver ingoiato il veleno prodotto dal frullamento dell’oceano), (R; Hit);

  • nīla-, agg. di colore scuro, blu scuro, verde scuro o nero (RV);

  • kaṇṭha-, sm. gola, collo;

  • l composto nīlakaṇṭha- è un karmadhāraya. Il primo elemento funge da aggettivo o qualificativo per il secondo elemento. In nīlakaṇṭha-, nīla- significa “blu” e kaṇṭha- significa “collo”. Quindi, insieme, “nīlakaṇṭha” descrive letteralmente “colui che ha il collo blu”.

    Questo composto è spesso usato per descrivere Śiva/Rudra, che è noto per avere il collo blu a seguito del suo atto di trattenere il veleno durante il samudramanthana, il frullamento dell’oceano di latte. La sua azione è vista come un simbolo di auto-sacrificio e capacità di neutralizzare le influenze negative per il bene dell’universo.

mṛṭyuṃjayāya, agg. m. dat. sg., agg. che sconfigge la morte, N. di Śiva

  • mṛṭyu-, sm. sf. 1. morte, il morire (sono enumerati differenti tipi di morti, cento per malattia o accidente e una naturale per vecchiaia). (RV); 2. Morte personificata, dio della morte (ŚBr; MBh)
  • mṛ- vb. cl. 6 Ā, morire, decedere;
  • jaya-, agg. ifc. che conquista, che vince; sm. conquista, vittoria, trionfo (in battaglia o nel gioco dei dadi o in un processo).
  • √ji- vb. cl. 1, vincere o acquisire (tramite conquista o con il gioco d’azzardo), conquistare in battaglia, avere la meglio (in un gioco o in un processo), sconfiggere, eccellere, superare, sorpassare; 2. dominare (le passioni), sopraffare o eliminare (ogni desiderio o difficoltà o malattia);
  • È un composto karmadhāraya. mṛtyu (morte) funge da qualificativo per jaya (vittoria). Quindi, mṛtyuṃjaya letteralmente significa “vittoria sulla morte” o “conquistatore della morte”. mṛtyuṃjaya evoca l’immagine di una divinità o un essere che ha superato o vinto la morte.

sarveśvarāya, sm. dat. sg. di sarveśvara, Signore del tutto

  • sarva-, agg. 1. tutto, intero, completo, ogni (RV);
  • īśvara-, sm. sf. signore, principe, re, signora, regina (AV; ŚBr); sm. 1. marito; 2. Dio, essere supremo; 3. anima suprema;
  • īś-, vb. cl. 2, possedere (RV; MBh); 2. appartenere a (RV); 3. disporre di, essere valido o potente; 4. essere signore di (gen. o loc.), (RV; AV; ŚBr); 5. comandare, governare, regna- re (RV; AV; ŚBr);
  • Si tratta di un coposto tatpuruṣa. sarva funge da qualificativo per īśvara. In un composto tatpuruṣa, il primo elemento del composto è in un caso obliquo (non nominativo) e funziona come qualificativo del secondo elemento, che è di solito un sostantivo. In questo caso, sarva funge da qualificativo per īśvara. sarva significa “tutto” o “ogni”, e īśvara significa “signore” o “Dio”. Il composto nel suo insieme significa “Signore di tutto”, indicando una divinità suprema che governa o domina su tutto l’universo.

sadāśivāya, sn. dat. sg. di sadāśiva-, eternamente benevolo

  • sadā-, avv. 1. sempre, ogni volta, continuamente;
  • śiva-, agg. 1. propizio, favorevole, benevolo, amichevole, caro (RV); 2. felice, fortunato; avv. (ani) gentilmente, tene-ramente; sm. 1. felicità, benessere (R V, 56, 36)

śrīmanmahādevāya, śrīman-mahā-devāya, sm. dat. sg. m., al glorioso grande Dio

namaḥ, sn. dat. sg. di dhanvan-, all’arco


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