agni sūktam - introduzione



Nell’India tradizionale antica agni è il dio del fuoco.
(da AA.VV., Enciclopedia delle religioni, vol 9, Yaca book)


Il contesto rituale.
Il fuoco e il calore svolsero un ruolo centrale per l’uomo vedico nella comprensione di se stesso nel cosmo. Il fuoco è l’elemento più intimo e al tempo stesso più universale; può contemporaneamente infliggere dolore e purificare, può accecare una persona e allo stesso tempo illuminarla. Il fuoco affascinò gli ārya soprattutto per la sua possibilità di essere addomesticato: con il dominio del fuoco (e quindi per esteso della natura) si ebbe l’inizio della civiltà e gli strumenti per realizzarla. Il controllo del fuoco nel mondo vedico venne determinandosi nel contesto rituale. Con lo sviluppo del rito solenne (śrauta) si generò un sistema di corrispondenze che permetteva ai sacerdoti, che governavano il fuoco e i focolari, di creare e controllare il cosmo tripartito: agni, in quanto fuoco celeste o sole, abitava nella terra occidentale āhavanīya con gli dèi; agni, come fuoco atmosferico o luna, stava nella terra meridionale dakṣiṇāgni assieme agli antenati (pitaras) e agni come fuoco terrestre o fiamma domestica risiedeva nella terra occidentale gārhapatya con gli uomini. Questo sistema di omologie rafforzò anche il nuovo sistema castale che stava emergendo: il fuoco celeste, o delle offerte, rappresentò il sacerdote (brāhmaṇa), il fuoco atmosferico, o protettore, il guerriero (kṣatriya) e quello terrestre o produttivo il mercante (vaiśya).
Il fuoco rituale, agente centrale della civilizzazione, ebbe un ruolo speciale nello sviluppo della liturgia domestica (gṛhya), soprattutto nel rito matrimoniale (vivāha) e nella cerimonia funebre (antyeṣṭi). Come simbolo e agente di un processo di trasformazione, il fuoco e il focolare rappresentarono una via di mezzo tra il freddo della vita celibe dello studente e la sobrietà del capofamiglia, tra questa e l’altra vita. Lo stesso matrimonio veniva celebrato girando attorno al fuoco sette volte, e la vita della buona moglie implicava la presenza costante del fuoco per cucinare. Similmente, il passaggio oltre la morte richiedeva le proprietà transitorie del fuoco crematorio che, poiché distrugge, purifica e «ricostituisce» il vecchio essere in uno nuovo, era trattato con molta cautela dai sacerdoti, che temevano le potenziali qualità demoniache di agni il kravyād («il mangiatore di carne»). Inoltre, in una pratica diffusa in India almeno a partire dall’epoca delle epiche e bandita ufficialmente dagli Inglesi nel 1828, la moglie come satī univa al marito sulla pira funebre per ottenere la trasformazione spirituale dell’intera unità sacrificale (marito e moglie) attraverso il fuoco verso il prossimo mondo.
Il fuoco venne anche usato per provare la sincerità di un uomo. agni era il dio che presiedeva alla parola. La verità delle parole dell’uomo era quindi dimostrata da agni in qualità di colui che difende coloro che camminano attraverso il fuoco (o ne sopportano un assalto). L’esempio più noto si trova nel rāmāyaṇa dove sītā, dopo essere stata liberata dalla prigionia di rāvaṇā a Lanka, prova la sua fedeltà a rāma entrando pubblicamente nel fuoco.

Il mito di agni.

La «personalità» di agni, sviluppatasi presto nel pensiero vedico, manifesta sia le funzioni specifiche del rituale sia i modelli divini per il comportamento dell’uomo. agni è, dopo indra, il dio più importante del pantheon delle divinità del ṛgveda. Le sue qualità antropomorfe provengono direttamente dal fuoco fisico: per esempio lo stendardo di fumo, i capelli di fiamme, la barba bronzea, la mascella sottile, i denti brillanti e le sette lingue. Come bocca degli dèi, agni è schiena di burro o volto di burro sulla ricetta del suo cibo, il ghī sacrificale (burro chiarificato). Egli ha corna e muggisce come un toro; ha la coda ed è strigliato come un cavallo, ed è alato come un’aquila del cielo. agni è il più giovane e il più vecchio degli dèi, sempre rinnovato nel focolare rituale. Anche se è nato da dyaus, il dio del cielo, i suoi reali genitori sono due araṇī («bastoni del fuoco»): quello più alto è suo padre e il più corto la madre (o alternativamente entrambi le madri). Viene anche chiamato sahasaḥ sūnuḥ («figlio della forza»), letteralmente il risultato della frizione potente prodotta dalle mani del sacerdote o, in senso figurato, una manifestazione del potere cosmico vittorioso e procreativo.
La caratteristica più significativa di agni è la sua appartenenza al mondo sacerdotale. Come fuoco officia ogni sacrificio; egli non è soltanto la controparte divina del sacerdote umano, ma è il prototipo e l’esemplare massimo di tutte le attività sacerdotali, soprattutto quelle del sacerdote hotṛ, colui che recita la liturgia. Inoltre, la sua natura di mediatore lo rende responsabile della sicurezza del trasporto delle offerte agli dèi e, all’inverso, della loro benedizione agli uomini. Poiché il successo del viaggio del messaggero (dūta) tra i questuanti terrestri e i benefattori celesti è assicurato dall’eloquenza del prete, qualità che deriva dalla combinazione dell’abilità linguistica e della capacità di vedere i misteri cosmici, agni è sia il sacerdote sommo che il supremo veggente (kavi).
Il personaggio di agni sottolinea alcune funzioni chiave che vengono esplicate dal sistema dei suoi epiteti. vaiśvānara, il fuoco che ha potere sugli uomini, per esempio, fa riferimento al fuoco che diventa sole nella magia liturgica dell’alba. Rappresenta anche il fuoco rituale simbolo della superiorità degli ārya, come viene sostenuto nel mito di mātariśvan, che protegge e rafforza la nazione da tutti i nemici. vaiśvānara, come agente di civilizzazione, è il controllo dell’uomo sulla luce, sul tepore e la demarcazione temporale (agni è il sole), ma riguarda anche i confini nazionali e la costituzione di una pace ineguagliabile (agni contro i barbari). jātavedas, il fuoco che tutte le creature possiedono, sottolinea la funzione di protettore della famiglia vedica e principale difensore dell’uomo. La sua costante presenza nel rituale, il suo adoprarsi per rafforzare e innalzare la comunità domestica e il suo ruolo (attraverso la cremazione) di garante della corretta trasformazione del morto in antenato, fanno di lui il guardiano supremo delle generazioni e al tempo stesso il perpetuatore della cultura aria. apāṃ (ap- acqua) napāt (figlio), il fuoco figlio delle acque, indica il potere vitale e procreativo delle acque naturali e quello inebriante e trasformativo dell’acqua rituale. Nei brāhmaṇa, agni viene messo in relazione soprattutto con prajāpati, e l’unione agni-prajāpati diviene l’essere cosmico che crea attraverso lo smembramento. Le varie «ricerche» di agni (cfr. il volo di agni nel ṛgveda 10,51) culminano con la raccolta e il riassemblamento rituale di agni (sacrificante cosmico) nell’agnicayana e riaffermano la presenza del fuoco in ogni elemento. Inoltre, in śatapatha brāhmaṇa 1,4,10ss., agni compare come vaiśvānara ed è portato nella bocca di mattava, re di videgha, verso est. Alla menzione del burro salta dalla bocca del re e brucia la sua strada verso il fiume sadānīrā, indicando l’ampiezza a quel tempo dello yajña («culto») brahmanico. Nelle upaniṣad, agni viene caratterizzato con molti aspetti dell’onnipervadente brahman, e nei purāṇa, specialmente agni purāṇa, viene rappresentato come dio elevato. Nonostante queste descrizioni e gli esempi conosciuti di raffigurazione iconografica di agni (soprattutto in pietra), la diffusione del suo culto nel tardo periodo teistico è marginale.

Il calore e la tradizione ascetica.

Con lo spostamento dell’enfasi dal sacrificio al sacrificante avvenuto nel periodo dei brāhmaṇa, le qualità astratte del «calore» (tapas) del fuoco vennero interiorizzate: il calore della fiamma, del soma, del sudore del sacerdote e del cibo cucinato vennero a far parte del sacrificio interiore nel corpo (antaryajana) del «patrono divenuto sacerdote». Ciò che nel periodo dei brāhmaṇa era il complesso rituale del fuoco (agnihotra), nella tradizione ascetica diventa «il rituale interiore del fuoco» (antaragnihotra). L’uomo stesso viene identificato con il processo del sacrificio e con il cosmo. Viene stabilito un elaborato sistema di corrispondenze che rende uguali i fuochi microcosmici del corpo umano e quelli macrocosmici dell’universo e questo sistema può essere controllato attraverso la dottrina ascetica dello yoga. L’asceta con i capelli lunghi (muni), che si incontra la prima volta nel ṛgveda 10,136 mentre controlla il fuoco e cavalca il vento, è ora completamente posseduto da agni: nella sua testa c’è il fuoco della mente e della parola, nelle sue braccia il fuoco del potere sovrano, e nel ventre e nei lombi il fuoco della produttività.

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