Sarasvatī

sarasvatī, il fiume che non c’è più

Published: Aug 11, 2020 by

sarasvatī, divinità femminile, ma anche il fiume che non c’è più.

ṛgveda II.41.16, nadītame ambitame devītame «o (tu che sei) la migliore dei fiumi, la migliore delle madri, la migliore delle dee!»
ṛgveda VII.95.2, yatī giribhya ā samudrāt «(lei) che va dalle montagne fino all’oceano». (trad. di G. Benedetti)

Il fiume sarasvatī è menzionato più volte nel ṛgveda, ma lo ritroviamo anche nei purāṇa e nel mahābhārata.

La sua identificazione e il mistero della sua scomparsa potrebbero essere la chiave di volta per svelare l’enigma della civiltà vedica e aria.

Il popolo vedico, nomade e di pelle chiara, è veramente disceso dalle steppe dell’Asia centrale con carri trainati da cavalli, seminando distruzione e rovesciando una più antica ed avanzata civiltà dravidica, di pelle scura, come hanno sostenuto gli studiosi occidentali dell’ottocento (e fino ai giorni nostri) e come leggiamo su tutti i manuali di storia, oppure era un nobile e pacifico popolo autoctono?

La questione non è risolta.

Il prof. Giacomo Benedetti ha pubblicato un interessantissimo (molto) e documentato saggio sulla rivista “Studi Classici e Orientali Vol. 49 (2003), pp. 97-118, 120.

Così conclude Benedetti: “La ‘questione Sarasvatī’ comporta un ripensamento radicale di una idea del passato dell’India imposta dalla storiografia britannica non solo agli indiani, ma anche alla nostra tradizione accademica che solo ora scopre le fonti archeologiche, capaci di mettere in crisi un quadro (già criticato più volte non solo da nazionalisti indiani, ma anche da voci di studiosi autorevoli come F.E. Pargiter), basato su presupposti linguistici, teorie razziali, interpretazioni pregiudiziali dei testi indiani e forse analogie con eventi storici quali le invasioni islamiche. Ma qui entreremmo in un ampio dibattito, e lasciamo al lettore di decidere se questa breve trattazione sulle tracce della Sarasvatī contribuisca a mostrare da che parte penda la bilancia della verità storica.”

—> vedi articolo La teoria controversa dell’invasione ariana in jñānābhyāsa

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vānaprastha
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van- , vb. cl. 1, piacere, amare, sperare, desiderare; ottenere, acquisire; conquistare, vincere;

liṅgam
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“Generalmente la centralità nei templi dedicati al Dio spetta al liṅga. Esiste una molteplicità di liṅga. Rappresentazione della potenza allo stato puro prima e nonostante la manifestazione, il liṅga è l’emblema per eccellenza di śiva, esso rappresenta parzialmente l’energia sessuale e la procreazione, ma è soprattutto potenza distruttrice: se il liṅga, a causa di una maledizione, si stacca dal corpo di śiva e cade a terra l’universo si spegne o comincia bruciare ogni cosa, finché non viene posta nella yoni di parvatī ove la sua forza distruttrice si placa; la yoni rappresenta la base su cui il liṅga è istallato, simbolo della śakti con la quale il Dio è perennemente unito. Nei pancamukha-liṅga (liṅga con cinque volti) ci sono in realtà quattro volti, il quinto è il liṅga come forma trascendente di śiva. Nei sancta sanctorum dei templi i la mūrti che si incontra più frequentemente non è una vera e propria mūrti, bensì il liṅga che prima di essere un oggetto concreto di culto è il segno di una Realtà sottile che permea tutte le cose: “il liṅga è nel fuoco per coloro che si dedicano ai riti, nell’acqua, nel cielo, nel sole per gli uomini saggi, nel legno e in altri materiali solo per gli sciocchi; ma per gli yogin è nel proprio cuore. (īśvara-gītā, Il Canto del Signore [śiva]). Gli śivaliṅga sono infiniti, dice lo śiva-purāṇa, e l’intero universo è fatto di liṅga giacché tutto è forma di śiva e null’altro esiste realmente; il liṅga in altre parole è il brahman (īśvra-gītā 10, 1 e 3).”