Grammatica sanscrita

la parola

LA PAROLA

II. - Derivazione

I nomi e gli aggettivi sono quindi in sanscrito:
a) o identici a una radice verbale;
b) o derivati da una radice mediante l’aggiunta di prefissi, suffissi, ecc;
c) o composti da due o più parole indipendenti unite insieme per formarne una nuova.
Studieremo quindi, successivamente: la derivazione, poi la composizione nominale. I derivati sono chiamati “primari” o “secondari” a seconda che gli elementi avventizi siano aggiunti direttamente alla radice (derivati primari) o a un nome derivato (derivati secondari); quindi vidyā- sarà detto “derivato primario”, perché il suffisso -- viene attribuito direttamente alla radice, mentre tejas-vin (“luminoso”) sarà detto “derivato secondario” perché il suffisso di appartenenza -vin- è aggiunto al sostantivo tejas- (“luce”) stesso derivato primario (suffisso -as- e radice TIJ-).

47- I derivati primari si dividono in nomi d'agente (sono quindi esclusivamente maschili, essendo il femminile una formazione secondaria, cfr. 51) e nomi di azione (normalmente neutri, ma ugualmente femminili o maschili). Alcuni suffissi sono comuni ad entrambe le categorie. In vedico, la distinzione si faceva prima di tutto attraverso l’accentuazione: janman- (JAN- “engender” + suffisso -man-) accentuato sulla radice (jànman-) significava “generare”, accentuato sul suffisso (janmàn-): “genitore”; nel classico sono caratterizzati solo i casi diretti; altrove c’è un’ambiguità.

48- Per i nomi di agente, la formazione più corrente è quella del suffisso -tṛ- (declinato secondo 89) aggiunto alla radice al grado pieno (guṇa, cfr. 40); quindi : VET-tṛ- “ conoscitore “ (da VID- “ sapere “, passaggio a T, secondo 33), ŚRO-tṛ- “ uditore “ (da ŚRU- “ ascoltare “). Una -i- a volte appare tra la radice e il suffisso: JAN-i-tṛ- “genitore” (da JAN- “generare”). I nomi così formati esprimono l’idea che l’azione può (o: sarà) compiuta dall’individuo designato. Da qui l’uso di questi sostantivi nella coniugazione (futuro perifrastico, cfr. 132).

Nota. - In vedico esistevano altri suffissi, specifici del valore "agente"; ma queste formazioni sono cadute in disuso nel classico. A proposito di questa "sopravvivenza", possiamo notare: nomi di mestiere in -aka- (nartaka- "danzatore", da NRT- "danzare"), nomi in -man- (janman- "genitore", cfr. sopra), nomi in -ni- (vahni-  "guida", da VAH- "veicolare"), ecc.


49- 2° Per i nomi di azione, la formazione più comune consiste in una “tematizzazione” (cioè: aggiunta della vocale -a-) della radice portata al grado pieno (guṇa, cfr. 40): YOG-a- “l’imbrigliare” (da YUJ- “imbrigliare, unire”, con passaggio da J a G, secondo 35), BHAV-a “esistenza” (da BHŪ- “essere”, con passaggio da O [grado pieno da Ū] ad AV, secondo 32. Spesso il valore dell’azione stessa è attenuato: DEŚ-a- “paese” (da DIŚ- “indicare”); infine, questi sostantivi possono essere usati come aggettivi: KALP-a- può significare “sistemazione, ordine” o “adatto, abile” (da KḶP- “disporre”). Tutti questi nomi sono normalmente maschili. Altri suffissi, con valore di azione (ma che possono eventualmente essere usati come aggettivi che possono evolvere verso il valore “agente”) sono usati nel sanscrito classico. Alcuni dei più importanti sono elencati di seguito:

a) Il suffisso -ana- (a grado pieno) che fornisce i sostantivi neutri: MAN-ana- “riflessione, meditazione” (da MAN- “pensare”), NAY-ana “guida, comando” (da - “guidare” con passaggio da E [guṇa di Ī] ad AY secondo 32 c); con valore aggettivo: ROC-ana- “luminoso” (da RUC- “splendente”); con valore d’agente JVAL-ana- “il fuoco” (da JVAL- “bruciare luminosamente, divampare”).
b) Il suffisso -tra- (sul grado pieno), che fornisce i neutri e qualche maschile, è da mettere in relazione con -tṛ- dei nomi d’agente: ŚRO-tṛ era “che sente, ascoltatore, uditore”, ŚRO-tra- è “il sentire, l’udire, orecchio”; analogamente: YOK-tṛ- “che aggioga, che lega” (da YUJ- “aggiogare, legare, imbrigliare, unire”) /YOK-tra- “strumento per legare, corda, fune”; NE-tṛ- “guida, codottiero” (da - “condurre, guidare”)/NE-tra- “comandante, capo, guida”, ecc.

(c) Il suffisso -as- (su grado pieno) che fornisce i neutri (che in vedico era probabile diventassero, con un cambiamento di accento, nomi d’agente maschili): MAN-as- (“pensiero”, da MAN- “pensare”), NAM-as- (“omaggio, tributo”, da NAM- “salutare”), ŚRAV-as- (“fama”, da ŚRU- “sentire”; cambiamento da O ad AV, secondo il 32 c).
d) Il suffisso -man- (a pieno grado) che fornisce i neutri (stessa osservazione sulla vecchia possibilità di passare al valore “agente”): VEŚ- man- (“tenuta, abitazione”, da VIŚ- “stabilirsi in una regione per viverci”), JAN-man- (“nascita”, che avevamo visto [vedi 48] m. nel senso di “padre”), VART-man- (“cammino”, da VṚT- “volgere, girare [parlando di una ruota di carro]”).

e) Il suffisso -ti- (sul grado zero) che fornisce femminile: ŚRU-ti- (“rivelazione”, da ŚRU- “sentire”), MA-ti (“opinione”, da MAN- “pensare”: il grado zero in a per *, secondo 43), UK-ti- (“discorso”, da VAC- “parlare”; -K- secondo 35).
f) Il suffisso -tu- (a grado pieno) che fornisce i maschili: HE-tu- (“causa” da HI- “mettere in moto”). Questa formazione è importante perché i derivati primari di questa categoria, fissati all’accusativo singolare, hanno funzione di infinitivo (KAR-tum “fare”, MAN-tum “pensare”, ŚRO-tum “sentire”, ecc.)
g) Si incontrano anche alcuni nomi d’azione formati con l’aiuto di altri suffissi; Tra questi derivati, che sono pochi in numero e più spesso fossilizzati nel linguaggio antico, ci sono HAV-is- “oblazione” (da HU- “offrire in sacrificio”), SEV-ā- “servizio” (da SIV- “servire”), UK-tha- “formula” (da VAC- “parlare”), VID-yā- “scienza” (da VID- “conoscere”); infine, i radicali con il suffisso -man- sono stati modificati in -ma- : Così l’antico DHAR-man (“sostegno, appoggio”) diventa DHAR-ma- nel classico (“ordine mondiale, legge morale”) da DHṚ- “tenere, portare, trasportare”; esiste anche un suffisso -ma- autentico : SO-ma- “succo” (da SU- “schiacciare, spremere”), STO-ma- “canto, lode, inno” da STU- “lodare con canti e inni”).

50- Derivati secondari. - La formazione più chiara è quella del femminile, che si forma aggiungendo un vocale suffissale (ī o ā) ad un tema nominale preesistente: KAR-tr-ī- (“che fa” da kartṛ- con passaggio da a r, secondo 32 b); nel caso di temi in -a- (di gran lunga i più numerosi in sanscrito) il femminile si forma o aggiungendo un ā (che si fonde con la a del tema, secondo 32 a) : kānta- “amato” > kāntā- (“amata”: °ta + ā-), o con la sostituzione di una - alla vocale tematica: deva- “dio”, devī- “dea”. La ripartizione dei femminili in -ā- e -ī- è arbitraria: conviene controllare il dizionario (si incontrano degli allotropi: nīla- “blu” ha due f. nilā e nīlī). Oltre alla formazione del femminile, i derivati secondari sono suddivisi in sostantivi astratti, aggettivi di appartenenza, aggettivi qualificativi e comparativi/ superlativi:

51- a) I sostantivi astratti usano i tre suffissi -iman- (m.), -tva- (n.) e -- (f.). Il primo è poco frequente: gariman- “peso”, variman- “eccellenza”, uṣṇinam- “calore”. Il secondo fornisce un gran numero di sostantivi che indicano principalmente la funzione, in secondo luogo la classe, la qualità: guru-tva- “peso, pesantezza” (da guru- “pesante, gravoso”), brahma-tva- “funzione sacerdotale” (da brahman- “sacerdozio”, il suffisso °man- essendo al grado zero: °ma- per *mṇ-), amṛta-tva- “immortalità” (da amṛta- “vita eterna”). Per quanto riguarda il suffisso --, abbondantemente usato, ha lo stesso valore, ma è la qualità che è messa in evidenza; in via accessoria, la nozione di specie (anche collettività), o di funzione: brahma-tā- “condizione sociale brahmanica”, bandhu-tā- “parentela” (da bandhu- “relazione”); deva-tā- (da deva- “divinità”) designa qualsiasi personalità divina (a parire da un astratto con valore collettivo).

b) Gli aggettivi di appartenenza sono formati usando i suffissi -vant- (f. -vatī-), -mant- (f. -matī-) e -in- (f. -inī, secondo 51). Esempi: rūpa-vant- “bello” (da rūpa - “bellezza”), keśa-vant- “che ha capelli lunghi” (da keśa- “capello”), putra-vant- “avere un figlio” (da putra- “figlio”); allo stesso modo, e senza differenza di significato: paśu-mant- “avere bestiame” (da paśu- “bestiame”), pati-matī- “donna sposata” (da pati- “marito”). Come regola generale, °vant- è previsto dopo a e qualsiasi consonante, -man- dopo qualsiasi altra vocale o dittongo; ci sono eccezioni. Per quanto riguarda il suffisso -in- (con un ben marcato valore possessivo), non si aggiunge al radicale nominale come i precedenti, ma sostituisce la vocale terminale (che nella stragrande maggioranza dei casi è -a-): dhanin- “ricco” (da dhana- “ricchezza”), mantrin- “mago” (da mantra- “formula magica”), pakṣin- “uccello” (da pakṣa- “ala”).

Nota. - Il suffisso -in- potrebbe passare come "primario" quando viene applicato direttamente ad una radice verbale: arjin- "acquirente" (da ARJ- "acquisire"); ma il più delle volte il nome d'agente così formato appare solo alla fine del composto (cakra-vartin- "imperatore" [ = colui che fa girare la ruota del destino]); inoltre, può esserci un nome d'azione intermedia in -a- (secondo 49), per caso non attestato: si verrebbe allora ridotti a formazione "secondaria". Così  yogin- "seguace dello Yoga", è sicuramente formato sul sostantivo yogin stesso, piuttosto che direttamente sulla radice YUJ - "giogo".



52- c) Gli aggettivi qualificativi si formano utilizzando i suffissi -ka- (f. -kī- o -kā-) e -ya- (f. -yī- o -yā-). Il primo si aggiunge a qualsiasi tipo di radicale: anta-ka- “finale” (o: “morte”; da anta- “fine”), dūra-ka- “lontano, distante” (da dūra- “lontananza”), śū-ka- “barba di grano” (da ŚŪ- “gonfiare, ingrossare”). Un valore diminutivo appare in derivati come il rāja-ka- “piccolo re”, vṛksa-ka- “piccolo albero”, ecc. Il suffisso -ya- sostituisce la vocale finale del radicale di base: mānya- “rispettabile” (da māna- “rispetto”); normalmente la vocale iniziale della parola è portata al suo massimo incremento (vṛddhi, cfr. 41): daihya- “corporeo” (da deha- “corpo”), vaidya- “erudito” (da veda- “scienza”), raukṣya- “siccità” (da rūksa- “secco”). Spesso anche il solo fatto di portare la vocale iniziale di un sostantivo allo stato vṛddhi è sufficiente per trasformarlo in un aggettivo: daiva- “divino” (da deva- “divinità”), pautra- “filiale” (da putra- “figlio”). Questo è il modo abituale di formare i cognomi: Śaunaka- “figlio di Śunaka”, Āditya- “figlio di Aditi”, Draupadī “figlia di Drupada”.

Nota. - Altri suffissi, meno frequenti, sono usati anche per formare aggettivi derivati. Si noti, tra gli altri, i suffissi -vin- (tejas-vin- "luminoso", da tejas- "luce"), -va- (arṇa-va- "che ha delle onde"), -la- (vatsa-la- "vitellino"), ecc. Infine, il suffisso -ka- appare a volte nella forma -ika-, l'-i- che sostituisce la vocale terminale del radicale di base (āśviha- "cavallo", da aśva- "cavallo"); analogamente -īya-, una variante di -ya- (aṅgulīya- "anello", da aṅgula- "dito"), -eya- (pauruṣeya- "umano", da puruṣa- "uomo"), ecc.

53- Comparativo e superlativo. - Il sanscrito ha, come il greco, il latino, ecc., due tipi di formazioni, la prima usa il suffisso -īyas- per il comparativo (-iṣṭha- per il superlativo), la seconda usa il suffisso -tara- (superlativo: -tama-). Ben marcata nel vedico, la distinzione tra il significato e l'uso di questi due tipi di comparativi-superlativi tende a scomparire nel classico; inoltre, le formazioni in -īyas-/-iṣṭha-, difficili, regrediscono a favore delle formazioni in -tara- (-tama).

54- a) I suffissi -īyas- (declinazione: 87, femminile: -īyasī-) e -iṣṭha- (declinazione tematica; femminile in -ā-) si attaccano direttamente alla radice, o, quando la radice non è riconoscibile, al radicale senza la sua vocale terminale. Esempi: da VṚ- “scegliere”, abbiamo un sostantivo var-a- “scelta” (secondo 49) che può essere usato come aggettivo nel senso di “buono” (“di scelta”); il comparativo è var-īyas- “migliore”; il superlativo var-iṣṭha- “eccellente”. Questo è il caso normale; ma troviamo anche aṇīyas-janiṣṭha- da aṇu- “minuscolo” (nessuna radice *aṇ in sanscrito). A volte il radicale cambia forma: così garīyas-/gariṣṭha- da guru- “pesante”. Infine, alcuni aggettivi sopravvivono solo al compar./superl. varṣīyas- “più vecchio” non ha positivo in classico (lo sostituiamo con il participio: vṛddha-) ; anche: nedīyas- “più vicino” (positivo: antika-), kanīyas- “più piccolo” (positivo: alpa-), ecc.

55- b) I suffissi -tara-/-tama- (declinazione tematica, femminile in -ā-) sono attaccati al radicale così come appare nel dizionario; quando questo radicale ha un suffisso alternato, viene preferita la forma debole del suffisso (il più delle volte: grado zero). Esempi: śuci- “brillante” > śucitara-/śucitama-; sant- “buono” (in realtà: participio presente di AS- “essere”, cfr. 28) > sattara-/ sattama (sul grado zero del suffisso -ant-). La formazione, facile, sostituisce la precedente e ci sono molti allotropi; così priya- “caro, amato” ha due comparativi/superlativi: preyas-/preṣṭha- da un lato, priyatara-/priyatama- dall’altro.

56- I prefissi. - All’altro capo della parola, cioè appena prima della radice, il sanscrito usa i prefissi, spesso chiamati “preverbi” in riferimento al valore costantemente verbale della radice (ma il termine non è adatto a indicare la a- “privativa”; la ku- “peggiorativa”; e la su- “bene, buono”; ecc.)
Per quanto riguarda questi prefissi, è necessario ricordare :

a) Che nella lingua antica erano volentieri separati dalla radice: saṁ ca vi ca eti sarvam (con saṁdhi: caiti, secondo il 19) “tutte le cose si fanno e si disfanno” (preverbi sam- “convergenza, congiunzione, unione” e vi- “dispersione”; radice I- “andare”).
b) Che non hanno alcuna influenza sulla forma della sillaba che li segue, ma che possono essere essi stessi modificati, secondo le regole del saṁdhi interno (es.: ati + I- > atī- “superare”; aty-eti “supera”). Inoltre, essi precedono la radice senza che vi sia alcuna relazione tra la loro presenza e il grado vocalico della radice (a differenza dei suffissi : -as- veniva aggiunto alla radice portata obbligatoriamente al grado pieno; sam- precede la radice a qualsiasi grado) ;
c) Che il significato del verbo o del nome è fortemente modificato dal prefisso (dadāti “egli dà”, ādadāti “egli riceve”; sukha- “felicità”, duḥkha- “infelicità”); è questo fenomeno che (insieme alla ricchezza della morfologia) spiega la quasi inesistenza di preposizioni in sanscrito. È quindi importante fornire un elenco completo dei suddetti prefissi, che sono elencati qui di seguito in ordine alfabetico sanscrito:

57- (prima della consonante) /anº (prima della vocale), prefisso negativo, privativo, antinomico. Normalmente prima del nome (sost. agg.) raramente prima dei pronomi o dei verbi. Per esempio: mṛta- “morto”, a-mṛta- “vivo [nell’aldilà]”; anta- “limite”, an-anta- “senza limite”; kṣara- “transitorio”, a-kṣara- “eterno”; mitra- “amico”, a-mitra “nemico”; ecc. acchā (molto raro nel classico) “verso”; quindi: acchā-GAM- “andare verso” (da GAM- “andare”).

58- atiº idea di “superamento” (quindi anche di “eccesso”): ati-KRAM- “superare un ostacolo, attraversare un fiume” (da KRAM- “andare”); ati-bala- “molto forte” (bala- “forza”); ati-māna- “orgoglio, fatuità” (da MAN- “pensare”). adhiº “sopra” (quindi anche “in aggiunta”): adhi-RUH- “salire [su un carro]”; adhi-ṢṬHĀ- (cerebrale secondo 37) “stare sopra”, “avere il dominio su” (da STHĀ- “stare”).

59- anu° “a seguito di” (quindi anche: “dopo”) anv-I- “seguire” (da I- “andare”; v secondo 32 b); anu-TAP- “pentirsi” (da TAP- “bruciare”: il rimorso “brucia dopo” la colpa). antarº “all’interno di” (quindi anche: “tra”): antar-I- “venire tra”, “far scomparire”; antaḥ-sadas- “stanza interna” ( secondo il 15).

60- apaº idea di “allontanare”, via da: apa-NĪ- “portare via”, “rubare (sottrarre)” ; apa-DRU- “allontanarsi correndo” (DRU- “correre”); ape-(= apa + I-) “sparire, scappare”; apoh- (= apa + ŪH-) “scartare [un argomento]” (da ŪH- “discutere, riflettere”). apiº (molto raro) idea di “aggiunta”: api-GAM- “partecipare a” (da GAM- “andare”).

61- abhiº “movimento (ostile) verso”: abhi-KRAM- “marciare verso [il nemico]”, attaccare, sopraffare; abhi-JAN- (passivo) “nascere per [essere questo o quello], essere nati per”. ava° “movimento dall’alto al basso”, giù, sotto: avatāra- “discesa [di un Dio in terra]”; ava-NAM- “salutare [inchinandosi]”; ava-RUH- “scendere [dal carro]” (contrariamente ad adhi-RUH-, v. sopra). ā° “movimento verso il soggetto”: ā-GAM- “venire” (da GAM- “andare”); ā-NĪ- “portare” (da - “condurre”); ā-VIŚ- “impossessarsi di” (da VIŚ- “entrare in, sistemarsi su, andare a casa”). ud° “movimento dal basso verso l’alto”, su, verso l’alto: ud-I- “alzarsi (sole)”; un-NAM- “tendere verso l’alto, alzarsi, sorgere, ascendere” (n, secondo 24 c); ut-PAT- “volare via” (PAT- “volare o saltare in alto”; t secondo 23 a). upa° “avvicinamento (rispettoso)”: upa-NAM- “inchinarsi (in omaggio)”; upa-CAR- “assistere (un superiore)” (da CAR- “attivarsi, agire”); upa-YĀ- “visitare” (da YĀ- “andare”).

62- ku° (solo davanti a nomi): prefisso peggiorativo. ku-karman- “azione cattiva” (da KAR-man- “azione”); ku-dhī- “pazzo”. (da DHĪ- “pensare”); ku-rūpa- “brutto” (da rūpa- “bellezza”). duṣº (solo prima di nomi) “male, cattivo”: duḥ-sarpa- “serpente velenoso” ( secondo 15); duṣ-kula- “famiglia o stirpe di bassa condizione, di famiglia umile” ( secondo 37); dur-hṛd- “dal cuore malvagio, malevolo” (r secondo 29 g).

63- niº “giù, sotto, a terra, all’interno”: ni-KṚ- “abbassare, umiliare” (da KṚ- “fare”); ni-DHĀ- “mettere giù, posare, nascondere” (da DHĀ- “porre, collocare, porre in o sopra”); ni-PAT- “scendere volando, calando a volo (uccello)” (da PAT- “volare”). nis° “fuori, innanzi, via”: nis-KRAM- “uscire” (da KRAM- “andare”; s secondo 37); nir-VAH- “portare via, rimuovere, eliminare” (da VAH- “guidare”; r secondo 29 g). parāº “lontano, via”: parā-PAT- “volare via, partire” (da PAT- “volare”); parā-BHŪ- “perire, scomparire, soccombere” (da BHŪ- “diventare”).

64- pariº “in giro, attorno, intorno, movimento circolare” (quindi anche: idea di “investire”, di “vincere”): pari-GAM- “circondare, girare, andare in giro” (da GAM- “andare”); pari-GRAH- “impadronirsi di qualcosa su entrami i lati, abbracciare” (da GRAH- “cogliere”); pari-BHŪ- “essere intorno a una cosa, circondare, essere superiore, eccellere” (da BHŪ- “diventare”). pra° “davanti, prima”: pra-KRAM- “avanzare, camminare verso” (da KRAM- “andare”); prānta- (pra + anta- secondo 17) “bordo, margine, estremità, fine” (da anta- “limite, fine”); preta “trapassato, defunto, morto” (pra -+ I-ta- secondo 18; ita- “andare”). pratiº “contro, indietro, continuamente” (da cui anche l’idea del “ritorno”): prati-VAC- “rispondere, replicare” (da VAC- “parlare”); prati-KRAM- “tornare indietro” (da KRAM- “andare”); praty-ŪH- “respingere un argomento, spingere indietro, strappare via” (da ŪH- “congetturare, supporre”; y secondo 20). vi° idea di “divisione, distinzione, distribuzione, opposizione” (quindi anche di “diffusione”, di “analisi”): - (= vi + I-) “andare da una parte o in direzioni differenti, disperdersi, diviso”; vi-VIC- “investigare, deliberare, esaminare” (da VIC- “separare, vagliare”); vi-dyut- “lampo” (da DYU-/DIV- “essere luminoso”).

65- saº (solo prima dei nomi): pref. inseparabile che esprime unione, congiunzione, possesso. Esempi: sa-dhana- “che possiede ricchezza, ricco” (da dhana- “ricchezza”); sa-ratha- “con il carro, sullo stesso carro, con, insieme”; soṣman- (= sa + uṣman-) “che ha calore, caldo” (da uṣman- “calore”). samº” con, insieme”: sam-I- “andare o venire insieme, incontrarsi” (da I- “andare”); saṁ-gama- “confluenza” (da GAM- “andare”; ride secondo 26). suº (prima dei nomi) “buono, eccellente, giusto, onesto”: su-jāta- “ben nato, ben prodotto, ben fatto”; sūkta- “recitato, detto bene, inno vedico” (su + ukta- secondo 17); sv-anta- “che finisce bene” (sv- secondo 20).

66- Nota. - Una parola sanscrita può benissimo includere diversi prefissi; due sono frequenti: pratyemaḥ "torniamo indietro" è prati +ā + I-mas (y secondo il 20, e secondo il 18, secondo il 15); tre sono rari (saṁpratyemaḥ "ritorniamo insieme") e in un tale gruppo il primo prefisso funziona più o meno come un avverbio autonomo (le abitudini dell'ortografia legata, nella scrittura nāgarī, spesso rendono impossibile sapere se il primo suffisso è effettivamente parte della parola). D'altra parte, alcuni avverbi autentici (come tiras "attraverso", puras "di fronte, anticipatamente, avanti", ecc.) a volte funzionano come veri e propri prefissi (puras-kāra- "il porre davanti, l'onorare, distinzione"), ma è più economico vedere in tali formazioni un caso particolare di composizione nominale.










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