Grammatica sanscrita

la sintassi - valore dei casi


I. - Valore dei casi

1- Nominativo
2- Vocativo
3- Accusativo
4- Strumentale
5- Dativo
6- Ablativo
7- Genitivo
8- Locativo



166. Il nominativo denota l’agente quando la frase include un verbo all’attivo: rājā yajati “il re offre un sacrificio”; se il verbo è al passivo, è l’oggetto che viene indicato con il nominativo: kumbhas tvayā kriyate “tu fai un vaso”(parola per parola “un vaso sta per essere fatto da te”). Infine, l’attributo è normalmente nel nominativo: sa rājā babhūva “divenne re”.

167- Il vocativo è esclusivamente interpellativo: brūhi, sakhe; kva yāsyasi?” dimmi, amico; dove andrai? (sakhe, voc. di sakhi-, secondo 90).

168- L’accusativo denota prima di tutto l’oggetto al quale l’azione verbale si riferisce direttamente (espresso all’attivo o al medio): gajaṁ paśyāmi “Vedo un elefante”. Un caso particolare è quello dei verbi con un doppio regime accusativo (verbi che significano dire, chiedere, insegnare, portare, inviare, ecc.): sūdhuṁ panthānam apṛccham “Domandai la strada al sant’uomo”; grāmam ājaṁ nayati “Egli porta una capra al villaggio”. Naturalmente, questo è particolarmente vero nel caso dei verbi al causativo: kumbhaṁ kumbhakaraṃ kumbhakaraṃ kārayāmi “Ordino una pentola dal vasaio”. (parola per parola “Porto il vasaio a fare una pentola”). Infine, c’è un’accusativo di estensione spaziale e temporale (talvolta chiamato “lativo”): grāmaṁ gacchāmi “vado al villaggio”; māsam adhīte “impara durante un mese”; rātrīṁ gṛhe tiṣṭhāti “Egli resta a casa durante la notte”; yojanaṁ gacchati “percorre una lega”. Accade anche che un tale prefisso transitiva tale verbo: rājā bhāryām anuvrataḥ “il re è fedele a sua moglie” (acc. invece di dativo), ma questo non è molto frequente in sanscrito.

169- Lo strumentale nota essenzialmente il mezzo (lo strumento, eventualmente l’agente) con cui si compie un’azione: kāṣṭhaṁ parasunā pāṭayāmi “Io spacco la legna con la mia ascia”; è quindi il caso del complemento d’agente del verbo passivo: kumbhaḥ kumbhakareṇa kriyate “il vasaio sta facendo un vaso”(parola per parola “un vaso sta per essere fatto dal vasaio”). Dato il favore di cui gode la forma passiva in sanscrito classico le parole allo strumentale sono numerose nelle narrazioni: tat tena kṛtam “Questo fu fatto da lui” è più frequente di: tad akarot “fece questo”. Un valore importante è l’accompagnamento, il più delle volte notato dall’intermediario di una preposizione (questo è l’unico valore sintattico che normalmente si esprime con una preposizione): putreṇa saha pitā gataḥ “il padre se ne andò con il figlio”.

170- Il dativo per primo denota la persona a cui viene fatta una donazione: grāmaṁ dvijāya dadāmi “Io do un villaggio a questo bramino”; colui al quale è rivolto un omaggio: sivāya namaḥ “omaggio a Śiva!” e più in generale la destinazione (l’obiettivo, l’intenzione): phalebhyo gacchāmi “vado a cercare della frutta” (parola per parola “Io vado per la frutta”); yāpāya dāru “del legno per fare un palo”; punar darśanāya “arrivederci!

171- L’ablativo esprime l’origine (quindi il punto di partenza, la causa): pāpād duḥkham udbhavati “è dal peccato che nasce la sventura”; siṁhapurād āgatā nauḥ “nave venuta da Singapore”. Da qui l’uso dell’ablativo per indicare la paternità (la maternità viene denotata dal locativo): brāhmaṇāc caṇdālāyāṁ jātaḥ “nato da un bramino e da una paria” (parola per parola “generato da un bramino [ablativo] nel [grembo di] una paria” [loc.]). Da qui anche l’uso dell’ablativo come complemento dei comparativi: candrāt sūryaḥ śucitaraḥ “il sole è più luminoso della luna”, o come regime di aggettivi che significano “diverso da, differente da”, ecc.: rater anyat sukham “la felicità è altro che piacere”. A volte, il solo fatto che sia accompagnato da un regime all’ablativo basta a dare un valore comparativo a un aggettivo al positivo: vadhvā api lakṣmīḥ priyā “Lakṣmī è [più] cara [al mio cuore] di [mia] moglie stessa”.

172- Il genitivo è prima di tutto adnominale (“complemento di nome”): rājñaḥ purusaḥ “l’uomo del re”; da qui il suo uso propriamente possessivo: mama mātā “mia madre” (parola per parola “la madre di me”). È in questo campo che il processo di composizione nominale funziona meglio e tende, nel classico, ad eliminare l’uso del genitivo (rājapuruṣaḥ, madmātātā). Alcuni verbi possono avere un regime al genitivo: tava smarati “si ricorda di te”; somasya pibati “beve del soma (= “[la sua parte] di soma”). L’uso è fluttuante e il genitivo ha la tendenza a sconfinare, in testi scarsamente controllati, nei domini degli altri casi (dat. str. e soprattutto abl. dove, inoltre, le desinenze sono comuni in molti tipi di flessione). C’è un genitivo assoluto, raro nel classico.

173- Il locativo rileva l’ubicazione sia spaziale che temporale: vane vasati “vive nella foresta”; andhreṣu “nel paese di Andhra”; niśāyām asedur yamunātīre “di notte stabilirono il loro accampamento sulle rive del fiume Yamunā” (2 loc.). Questa idea di localizzazione può essere intesa in senso figurato, da cui l’uso del locativo con verbi che esprimono un sentimento: bhāryāyāṁ viśvasihi “fidati di tua moglie”, bhartari premnā “per amore (str.) di suo marito (loc.)”, ecc. Il campo di questo tipo di costruzione è praticamente illimitato, ma il più delle volte si tratta di stile e non di sintassi normativa. D’altra parte, il locativo assoluto è un importante strumento sintattico in quanto sostituisce le proposizioni subordinate a valore temporale, causale, concessive, condizionali, ecc. aśveṣu yukteṣv agacchad rājā “i cavalli essendo stati bardati, il re se ne andò”; vadati nari śṛṇoti vadhūḥ “mentre l’uomo parla (loc. del participio pres. VAD-ant-), la donna ascolta”; mā! mā! iti vyāharaty eva tasmin, pātālam abhyagāt (Raghuv.., 15,84) “sebbene (sfumatura contrassegnata da eva) costui (tasmin, loc. di ta-) proferì (loc. del participio pres. di HAR- con i prefissi vi e ā) no! no! andò all’inferno (= “lo si precipitò all’inferno”).









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