Grammatica sanscrita

il verbo


I. - Generalità

105- Il verbo sanscrito si confonde, in linea di principio, con la radice: BHŪ- “essere”, KṚ- “fare”, ma nella maggior parte dei casi le desinenze si aggiungono ad un radicale formato dalla radice e da un affisso (quindi: BHAV-a + ti, KAR-o + ti); inoltre la radice può essere preceduta da vari elementi: prefissi (- “dare”, ā-DĀ- “ricevere”), raddoppiamenti (dadāti “egli dà”), aumenti (a-bhavat “egli era”) che possono essere cumulati (ādadāt “egli ha ricevuto” = ā + a-da-DĀ-t, con le vocali iniziali saṁdhi). Inoltre, i verbi che si presentano con un certo radicale al presente, ne hanno un altro al perfetto, un altro all’aoristo, ecc. e hanno sempre forme basate sulla radice stessa (per esempio bhavati, “egli è”, ma babhūva, “egli fu”, e bhūta- “stato”). È quindi giusto e necessario partire sempre dalla radice stessa per descrivere la morfologia verbale. I grammatici indiani lo avevano già capito, e i dizionari moderni citano il verbo sotto forma di radice nuda (ad esempio BHŪ- “essere”), o con il solo prefisso (ad esempio ā-DĀ- “ricevere”), anche se significa indicare in seguito i vari radicali usati nella coniugazione.

106- Forme. - Il verbo conosce i tre numeri (sg., du., pl.) sia nella coniugazione stessa che nella declinazione degli aggettivi verbali (participi). La distinzione di genere, invece, appare solo nei participi. Per quanto riguarda le voci, ce ne sono solo due: quella attiva e quella media (quest’ultima indica che l’azione è compiuta a beneficio del soggetto); il passivo è solo una coniugazione derivata utilizzando le desinenze della media (v. 152). Infine, la coniugazione sanscrita ha due serie di desinenze, alcune chiamate “primarie”, altre “secondarie”, ciascuna valida sia per gli attivi che per i medi. Sono usate in tutta la coniugazione, ma alcune particolari terminazioni appaiono qua e là (soprattutto per il perfetto, ma anche per l’imperativo, l’ottativo, il congiuntivo).

107- Le distinzioni di tempo e modo non sono quelle solitamente insegnate per le lingue classiche. La coniugazione sanscrita è organizzata in “sistemi” caratterizzati da un certo tipo di radicali, ed è all’interno di ciascuno di questi sistemi che si manifestano distinzioni modali e temporali. I sistemi svolgono così, di fatto, se non in diritto, il ruolo di coniugazioni indipendenti. Non parleremo quindi di ottativo presente, perfetto o futuro, ma di un’ottativo del presente, del perfetto, ecc. Esempi: il radicale bhava- (da BHŪ-) fornisce un ottativo bhavet, che si chiamerà ottativo del presente, da BHŪ- “essere” poiché bhava- è un radicale del presente; allo stesso modo baBHŪyāt è l’ottativo del perfetto.

Note. - In pratica, solo il sistema del presente è completo, almeno in sanscrito classico. Tutto sommato, e per attenerci al classico, distingueremo:
a) Un radicale del presente, che comprende anche un imperfetto, un'ottativo, un imperativo (il congiuntivo, che è vivo in vedico, scompare nel classico).
b) Radicali indipendenti per il perfetto, l'aoristo, il futuro.
c) D'altra parte, il sanscrito conosce le cosiddette coniugazioni derivate: causativo, desiderativo, intensivo, dove lo stesso radicale è usato per il presente, l'imperfetto, il futuro, l'aoristo, il perfetto, l'ottativo, l'imperativo, ecc.
d) Per quanto riguarda le forme nominali, esse sono parte integrante di un sistema particolare (quindi i participi "presente", "futuro", "perfetto", ecc.; gli aggettivi di obbligo; i futuri e perfetti perifrastici), oppure costruiti direttamente sulla radice (aggettivo verbale, infinito, assoluto).
e) Le regole relative all'aumento e al raddoppio saranno indicate mano a mano. Vedremo poi che queste regole sono diverse a seconda dei sistemi verbali (*bibharti* "portò", *babhāra* "porta", da *BHṚ*-). Analogamente, particolare è il saṁdhi aumento + vocale (sotto 119 R.).









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