paśupati 2

śrī rudram

Published: Mar 15, 2024 by devadatta

jābālyupaniṣad

a seguito del commento al rudram postato ieri e riferito al paśūnāṃ pataye namaḥ dello śrī rudram,

ecco il seguito della riflessione che mi ha portato alla jābālyupaniṣad. È la centoquattresima upaniṣad del canone muktikā, appartenente al sāmaveda e classificata come upaniṣad di Śiva.

Nei primi dieci versi della jābālyupaniṣad, Paippalāda rivolge una serie di domande fondamentali a Jābāli, un saggio illuminato, cercando il segreto della Conoscenza Suprema.
Le domande toccano concetti essenziali come la natura ultima della realtà (Principio Primo o tattva), l’identità dell’individuo (jīva), il significato di paśu, la definizione di Īshvara (il Signore Supremo), e il cammino verso la liberazione (mokṣa).

kiṃ tattvaṃ ko jīvaḥ kaḥ paśuḥ ka īśaḥ ko mokṣopāya iti ।

[A livello grammatricale da notare le variazioni del pronome interrogativo kim dovute alla vibhakti, al genere, numero e al saṃdhi, kiṃ, ko, kaḥ, ka, vedi nota di approfondimento]

Jābāli, riconoscendo l’importanza delle domande di Paippalāda , si impegna a condividere la conoscenza che ha. Viene poi interrogato sulla fonte della sua conoscenza, e la catena di trasmissione della saggezza viene rivelata: Jābāli ha appreso da Ṣaḍānanā, che a sua volta ha ricevuto l’insegnamento da Īśāna. Īśāna ha ottenuto la sua conoscenza attraverso la venerazione, suggerendo che la realizzazione spirituale si raggiunge attraverso la devozione e la pratica ascetica.

Ma torniamo al Signore degli animali, paśupati.

Paippalāda insiste quindi nella sua richiesta di essere edotto su tutto questo mistero (sarahasyaṃ sarvaṃ). Jābāli acconsente.

paśupatirahaṅkārāviṣṭaḥ saṃsārī jīvaḥ sa eva paśuḥ । L’essere vivente (jīvaḥ), impegnato nel ciclo delle nascite e delle morti (saṃsārī), è Paśupati (paśupatiḥ) rivestito del senso dell’ego (ahaṃkārāviṣṭaḥ). Lui stesso (sa eva) è paśu (paśuḥ).

sarvajñaḥ pañcakṛtyasampannaḥsarveśvara īśaḥ paśupatiḥ ।

L’onnisciente (sarvajñaḥ), il signore di tutto (sarveśvara) e che compie (saṃpannaḥ) i , [è] paśupatiḥ.

ke paśava iti punaḥ sa tamuvāca jīvāḥ paśava uktāḥ ।
Egli (saḥ) (Paippalādi) chiese (uvāca iti) di nuovo (punaḥ) a lui (tam) [Jābāli]: Chi (ke) [sono] i paśu (paśavaḥ)? I jīva (jīvāḥ) sono chiamti (uktāḥ) paśu (paśavaḥ).

tatpatitvātpaśupatiḥ ।
Egli [Śiva] (tat) essendo simile a questi (patitvāt) [è] paśupati (paśupatiḥ).

sa punastaṃ hovāca kathaṃ jīvāḥ paśava iti ।
Egli [Paippalādi] (saḥ) disse (hovāca iti) ancora (punaḥ): “Come (katham) questi jīvas (jīvāḥ) [possono essere] i paśu?

kathaṃ tatpatiriti ।
In che modo (kathaṃ) Quello [tat] è simile (patit) [ai paśu]?

sa tamuvāca yathā tṛṇāśino vivekahīnāḥ parapreṣyāḥ kṛṣyādikarmasu niyuktāḥ sakaladuḥkhasahāḥ svasvāmibadhyamānā gavādayaḥ paśavaḥ ।
Quello [Jābāli] (saḥ) ancora disse (uvāca) a lui (tam): Proprio (yathā) come gli animali che mangiano l’erba (tṛṇāśinaḥ), che sono privi di discriminazione (vivekahīnāḥ), che sono guidati da altri (parapreṣyāḥ), che sono impegnati in occupazioni come l’agricoltura (kṛṣyādikarmasu) e così via (ādi), che sopportano (sahāḥ) ogni tipo (sakala) di dolore e di pena (duḥkha) e che sono vincolati (badhyamānā) dal proprio (sva) padrone (svāmin),

yathā tatsvāmina iva sarvajña īśaḥ paśupatiḥ ।
come (yathā) il padrone di questi (tatsvāmina) [animali] così (iva) è l’onnisciente (sarvajña) Īshvara (īśaḥ), paśupati (paśupatiḥ).

L’uso del termine paśu, che significa letteralmente “animale”, qui simboleggia l’essere vivente limitato o vincolato dalle proprie passioni, desideri e dall’ignoranza, rendendolo soggetto alla sofferenza e al ciclo del saṃsāra.

Il riferimento a Paśupati (Rudra / Śiva) sottolinea che, nonostante la condizione vincolata dell’essere, esiste un legame intrinseco con il divino, poiché Paśupati è anche il signore e il liberatore di tutti gli esseri viventi (paśu).
L’identificazione dell’essere vivente con Paśupati potrebbe implicare che, nonostante la condizione attuale di soggezione e ignoranza (ahaṃkārāviṣṭa), c’è la possibilità di liberazione (mokṣa) attraverso la realizzazione della propria vera natura identica a quella del divino.

Il riconoscimento di sé come paśu non è una condanna, ma piuttosto un invito alla realizzazione spirituale. È un richiamo a trascendere l’ahaṃkāra attraverso la comprensione profonda che ogni individuo è una parte essenziale del divino, giocando un ruolo unico nel līlā universale. Questa realizzazione porta alla liberazione (mokṣa) dall’identificazione con l’ego limitato e all’abbraccio della propria vera natura come parte inseparabile di Rudra, il signore del gioco cosmico che danza attraverso la creazione e la distruzione, mantenendo l’ordine e il disordine in un equilibrio perfetto.

La Jābālyupaniṣad continua poi con l’insegnamento sulla pratica spirituale e rituale che conduce alla liberazione dall’eterno ciclo di nascita e morte (saṃsāra). Questa sezione sottolinea l’importanza delle ceneri sacre (vibhūti) e del loro uso corretto attraverso specifici riti e mantra.

Paippalādi chiede come sia possibile acquisire la conoscenza spirituale necessaria per la liberazione. Jābāli risponde che tale conoscenza si ottiene attraverso l’uso delle ceneri sacre (vibhuti), simbolo di rinuncia e purezza.

  • Le ceneri devono essere raccolte recitando i pañca brahma mantra, (i cinque mantra di Brahma) che iniziano con sadyojata.
  • Dopodiché, si santificano con il mantra e si amalgamano con l’acqua recitando . Successivamente, le ceneri vanno applicate su testa, fronte, petto e spalle formando tre linee, mentre si recitano i mantra e tre volte. Questo rito è descritto come un rito di nascita (sambhava vrata) nei Veda.
  • Le tre linee orizzontali di bhasman (tripuṇḍra) devono essere tracciate sulla fronte da parte a parte e arrivare fino alle sopracciglia e agli occhi.
    • La prima linea simboleggia il fuoco del focolare (gārhapathya), tra gli altri significati, inclusi la lettera A dell’AUM, la qualità dell’attività (rajas), la terra (bhūḥ), il potere d’azione dell’anima incarnata (jīvātman), il ṛgveda, la giunzione dell’alba, e la sua divinità tutelare è Prajāpati, il Progenitore.
    • La seconda linea rappresenta dakṣiṇāgni, il fuoco degli antenati, la lettera “U” , la qualità della pura luminosità (sattva), l’atmosfera (bhuvaḥ), il potere del desiderio dell’ātman interiore, lo yajurveda, la congiunzione del mezzogiorno, e la sua divinità tutelare è il Signore Viṣṇu.
    • La terza linea rappresenta il fuoco āhavanīya, il fuoco del rituale vedico, la lettera “M”, la qualità dell’oscurità e dell’inerzia (tamas), il mondo celeste (svar), il potere della conoscenza dell’ātman Supremo (paramātman), il sāmaveda, la congiunzione del crepuscolo e la sua divinità tutelare è Mahādeva in persona.

Indossare il tripundra conferisce purificazione dalle azioni negative, adempimento dei riti vedici, adorazione di tutte le divinità, i frutti di tutti i pellegrinaggi alle acque sacre, e i benefici della recitazione dei mantra di Rudra. Chi segue queste regole eviterà il ciclo delle nascite e delle morti.

La Jābālyupaniṣad enfatizza la pratica delle ceneri sacre come mezzo per purificarsi e avvicinarsi alla realizzazione spirituale, sottolineando il collegamento tra i rituali fisici, la recitazione dei mantra e la comprensione metafisica dell’esistenza.

Note:

  1. I cinque mantra di Brahma, noti come pancha brahma mantra, sono associati alla tradizione śaivita e rappresentano cinque aspetti di Śiva in relazione alla creazione, al mantenimento, alla distruzione, all'occultamento e alla grazia.
    Questi mantra iniziano con sadyojata e simboleggiano le cinque facce di Śiva. Tuttavia, nella Jābālyupaniṣad, i mantra specifici non sono dettagliatamente elencati. Nel contesto più ampio della tradizione śaivita, i pancha brahma mantra fanno tutti parte dello śrī rudram e sono generalmente compresi come segue:


    sadyojātaṃ prapadyāmi sadyojātāya vai namo namaḥ |
    bhave bhave nāti bhave bhavasva māṁ bhavodbhavāya namaḥ |

    Io mi inchino ai piedi (prapadyāmi) di sadyojāta (la forma di śiva, Colui che è appena nato, il Primogenito). Al Primogenito (sadyojātāya) veramente (vai) offro innumerevoli omaggi (namo namaḥ).
    Nascita dopo nascita (bhave bhave) non (nāti) farmi nascere (bhavasva mām). (= liberami dal ciclo delle nascite e delle morti)
    Mi inchino a śiva, la causa della nascita (bhavodbhava)
    Sadyojata è associato all'aspetto della creazione. Il mantra invoca questa qualità di Śiva.

    vāmadevāya namo jyeṣṭhāya namaḥ śreṣṭhāya namo rudrāya namaḥ kālāya namaḥ kalavikaraṇāya namo balavikaraṇāya namo balāya namo balapramathanāya namaḥ sarvabhūtadamanāya namo manonmanāya namaḥ |
    Omaggi a vāmadeva, il Bello e il Risplendente.
    Mi inchino a jyeṣṭa, il Primo, il più Straordinario e il Migliore
    Omaggi a śreṣṭa, il più Bello, l’Eccellente.
    Omaggi a rudra, il Terribile.
    Saluti a kāla, il Signore del Tempo. Mi inchino a kalavikaraṇa, il Signore che modifica il Tempo (la causa del Tempo).
    Omaggi a balavikaraṇa, Colui che trasforma (causa) l’energia, la forza. Mi inchino a bala, l’Energia, la Forza.
    Mi inchino a balapramathana, che distrugge la forza.
    Omaggio a bhūtadamana, Colui che governa tutti gli esseri viventi (divini, umani, animali e vegetali).
    Saluti a manonmana, Colui che esalta i poteri della mente.
    Vamadeva rappresenta l'aspetto del mantenimento. Il mantra associato invoca la capacità di Śiva di mantenere l'ordine e la stabilità nell'universo.

    aghorebhyo ‘tha ghorebhyo ghora-ghoratarebhyaḥ |
    sarvebhyas sarva śarvebhyo namaste ‘stu rudra-rūpebhyaḥ |

    Al Non-Terrificante (aghorebhyaḥ), e certamente (atha) al Terrificante (ghorebhyaḥ) [e] al Terrificante più terrificante.
    Omaggi a tutti (a tutte le forme, sarvebhyaḥ), alle divinità che uccidono con le frecce (sarva-śarvebhyaḥ) e sia (astu) alle forme di rudra (rudra-rūpebhyaḥ).

    Aghora è collegato all'aspetto della dissoluzione o distruzione. Il mantra relativo invoca la forza di Śiva di dissolvere o trasformare l'esistenza per far posto al nuovo.

    tatpuruṣāya vidmahe mahādevāya dhīmahi tanno rudraḥ pracodayāt \|
    Noi conosciamo (vidmahe) il tatpuruṣa; potessimo meditare su mahādeva.
    Che rudra (tad) ci (naḥ) ispiri (pracodayāt).

    Questo mantra invoca Tatpurusha, un altro aspetto di Śiva, che rappresenta il principio dell'occultamento ma anche della grazia che conduce alla liberazione. Il mantra è una richiesta di guida e illuminazione spirituale.

    īśānaḥ sarvavidyānāmīśvaraḥ sarvabhūtānāṃ |
    brahmādhipatirbrahmaṇo'dhipatirbrahmā śivo me astu sadāśivom |

    [Possa] īśā (īśānaḥ), il signore (īśvaraḥ) di tutta la conoscenza (sarvavidyānām) e la causa di tutte le cose e di tutti gli esseri (sarvabhūtānām), brahman (brahmā), il comandante (adhipatis), brahman, l’assoluto (adhipatis) [essermi] favorevole (śivo me), che egli sia (astu) sadāśiva.

    Īśāna rappresenta l'aspetto della grazia, che è la benedizione di Śiva che consente agli esseri di superare l'illusione e di realizzare la verità ultima o il sé supremo.
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kāraṇaṃ kāryamutpādya kāryatāmiva gacchati iti vārtikakārokteśca ।

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