sanscrito vedico

fonetica


1- ALFABETO. PRONUNCIA

1. Le vocali. - L’alfabeto relativamente ricco (samāmnāya) della lingua vedica è costituito innanzitutto da una serie di nove vocali (svara), brevi (hrasva) e lunghe (dīrgha), ossia a ā, i ī, u ū, ṛ ṝ, ḷ. Le brevi hanno la durata di una “mora” (mātrā), le lunghe di due.

Per il timbro delle vocali, i Pr. danno la seguente ripartizione: a (ā,) gutturale; i (ī ; così come i dittonghi e e ai 3) palatale; u (ū;. così come o e au 3) labiale; ṛ ṝ velare (“radice della lingua”), almeno secondo RPr. VPr.; dentale o velare.

La a breve era indubbiamente nel periodo vedico una vocale chiusa (saṃvṛta APr. VPr.), dal timbro neutro e tipicamente breve; questa è la pronuncia abituale dei mantra anche oggi, ma i fatti di saṃdhi (120) suggeriscono che all’origine della tradizione la a breve avesse una sfumatura più chiara (velare). Al contrario, ā è aperta (vivṛta).

Un segno della fragilità della a breve è proprio la sua eliminazione nei saṃdhi 120; altre a brevi (ultra-brevi?) potrebbero essere scomparse all’interno 35 38; infine il sistema di alternanze attesta la fragilità di alcuni i interni 40.

2. La pronuncia di è data con precisione dai Pr.: si tratta di un fonema composito, avente per centro una consonante r, e ai lati due vocali ultrabrevi non specificate (timbro a VPr.); la pronuncia attuale è re nell’YVedin (cfr. dātreṇām mss AS. V 24 3 e altrove, per ). La grafia ri in alcuni mss, le variazioni ṛ/a,ṛ/i, ṛ/ar, più spesso ṛ/ri (tratto grantha) o ṛ/ru (così nel paipp.) da un testo all’altro (anche nelle etimologie dei Nir.), mostrano un’oscillazione piuttosto seria, almeno nei mantra poco “sorvegliati”; nello stesso senso vanno gli errori riportati RPr. XIV 38 e 46.

Già RS. ha così accreditato sruti- che sembra essere per sṛti- (“strada, sentiero”) I 42 3 e altrove; viceversa pṛ´ṣvā T-S. “prodotto dalla brina” (normale pṛuṣvā- YV.). Tvaṣṭumant chiaramente prākritico - “accompagnato da Tvaṣṭṛ” con cui inizia un mantra Āp. (= tváṣṭīmatī e cfr. tváṣṭīmatī TS.). L’esitazione jāgriyāma/jāgṛyāma 38 dipende dalla variazione y/iy. Per ipersanscrito, gṛcha Kh. 1-14 (AS. gacha).

Un valore dissillabico di è stato postulato per alcuni passaggi di RS. ma senza una ragione decisiva. D’altra parte, può essere condiderata lunga nell’ambito del metro 56: infatti, la grafia prevista è attestata solo per la flessione dei sostantivi in -(t)- (tra cui nṛ´- ‘uomo’), cioè in un luogo in cui entrano in gioco le analogie morfologiche; e anche in questi sostantivi, RS. AS. scrive nṛṇā́m (il metro a volte richiede la lunga; paipp. ad II 9 2 nṝṇā́m), TS. addirittura scrive sempre -tṛṇā́m. Nei mantra più recenti, la quantità lunga di tende a non avere più valore.

  1. Possibile dissillabismo di Ac. pl. nṝ́n V 7 10 e altrove (o ripristino di nṛṇām? Cfr. 253).
  2. , cioè l vocale, ricorre solo in KḶP- (accanto a kṛpate I 113 10 VIII 76 11). La descrizione teorica del fonema concorda con quella di .

3. Dittonghi. - Esistono quattro dittonghi (saṃdhyakṣara): e e o erano (cioè sono diventate) vocali lunghe singole fin dall’inizio della tradizione: una forma come bhaveyam da BHŪ- opposta a bhavet avrebbe potuto essere creata solo se e fosse stata monottonga; la funzione da sola attesta il carattere dittongo; i Pr. descrivono una doppia articolazione, combinata (dice APr.) in modo tale da essere trattata come un’unica vocale.

e e o sono “molto aperte” APr.; nell’abhinihita-saṃdhi 120 contano come brevi sulla finale; cfr. anche 122. D’altra parte ci sono e e o brevi solo nella recitazione cantata di alcune scuole SV. (secondo Patañjali) e forse solo per le finali di particelle in iato.

Al contrario, ai e au sono (restati) veri dittonghi. Il primo elemento, pur essendo originariamente lungo, viene pronunciato corto: secondo TPr. è una a della durata di una mezza mora (chiusa, secondo alcuni autori), seguita da una i o da una u.

4. C’è quindi una tendenza ad accorciare o semplificare i dittonghi.

D’altra parte, la quantità di vocali, apparentemente rigida se ci si affida alla testimonianza “sillabica” del metro, è soggetta a fluttuazioni: sono state ipotizzate vocali extra-lunghe, lungo-brevi e ultra-brevi, in fine di parola o in posizioni simili 119; secondariamente, nella sillaba finale prima di una consonante 121 . Anche all’interno possono esserci state delle ultrabrevi da svarabhakti 38.

  1. Sul caso particolare della pluti (protrazione), v. 93. Il Pār. Śikṣā conosce un semilungo (kṣipra); il Keś. Śikṣā ammette (per il VS.) brevi “leggermente lunghi”.
  2. Qualunque sia la sua origine, la sequenza -ayi- non è molto stabile: rayi- 261 è fissato solo molto parzialmente. I locativi pronominali máyi tváyi 280 sq. mancano nei mantra antichi. Dalla fluttuazione di ayi/ai (contro la quale RPr. XIV 43 mette in guardia) dà luogo alla finale verbale -ait 28; viceversa, vi sono rifrazioni in -ayit -ayīt 97 358. In generale, la sequenza -ayi- (e talvolta -aya-) è sostituita da -e-, secondo un’evoluzione (pre)pracritica: così in páreman- SS. “abbondanza”, probabilmente da *paray-iman-; in tredhā “in tre modi” (cfr. trayá-) dove la prima sillaba conta come due; nel tipo preṣṭha-29 (-deṣṇá- 192); eventualmente nelle finali in -éru- 211; infine in alcune finali verbali in -em (1° sg.), apiprem Āp. IV 12 3 (da apipreyam Hir.) da PRĪ-, var. con apiprayam VS; sanem TB. I 2 1 15 da SAN- (= saneyam).

Analogamente, -o- può derivare da -ava- nell’oscuro ogaṇá- “allontanato dal clan”; in tó-to (āmreḍita=táva-tava) VS. IV 22; cfr. śróṇā́- TS. TB. sostantivo asterismo, var. con śrávaṇa- AS.

5. Consonanti: occlusive. - Le consonanti (vyañjana), in numero di trentatré, si distinguono innanzitutto per la ricchezza di occlusive (sparsa) - tra cui le nasali (anunāsika, nāsikya) il cui punto di articolazione risponde a ciascuna serie di occlusive (6), ossia gutturale (velare), ñ palatale, “cerebrale”, n dentale, m labiale. Queste nasali sono a volte autonome, a volte condizionate dalla natura dell’occlusione in contatto: condizionate sono la nasale gutturale, che si trova sempre davanti a k o g (espressa o latente, cfr. 68 a); la palatale, sempre davanti o dopo c o j, 66; la cerebrale è anch’essa, in generale, condizionata in contatto o a distanza; solo n e m sono quindi autonome.

6. Le occlusive comprendono cinque luoghi di articolazione (sthāna), determinati dal punto di implosione; e cinque modi (anupradāna, karaṇa), differenziati dalla presenza o dall’assenza di sonorità (nāda, śvāsa), dalla presenza o dall’assenza di un flusso aspiratorio. L’insieme comprende quindi, oltre alle nasali (che sono sonore): sorde (aghoṣa) e sonore (ghoṣavant) semplici (cioè non aspirate), sorde e sonore aspirate (mahāprāṇa, soṣman). Le aspirate hanno una h come secondo elemento, insegna RPr.

I luoghi di articolazione permettono di distinguere, da dietro a davanti:

a) le gutturali (kaṇṭhya) k kh g gh, che sono secondo Pr. velari (“radice della lingua”);

b) le palatali (tālavya) c ch jj h, il cui punto di articolazione è secondo la Pr. il centro della lingua: in realtà, sono prepalatali palatalizzate che combinano una t e una spirante (ś), ma metricamente valide come consonanti semplici (tranne ch che fa posizione 57);

c) le “cerebrali” (cacuminali, linguali; un termine migliore sarebbe “retroflesse”) (mūrdhanya); ṭ ṭh ḍ ḍh, una sorta di retrodentale ottenuta ripiegando la punta della lingua verso la parte superiore del palato;

d) le dentali (alveolari, “radice dei denti”) (dantya) t th d dh;

e) e infine le labiali (oṣṭhya) p ph b bh.

  1. Ci sono ampie confusioni tra sorde e sonore negli mss (e secondo le varianti tra mantra paralleli), in particolare in quelli di AS: gṛṣṭí- AS. II 13 3 per kṛṣṭi- paipp. “gente”; takarī́ -TS. III 3 10 d/tagarī- paipp. XX 25 10 “pene”; prapharvyàm RS./prabh° MP. I 10 1 “ragazza dissoluta” (l’esitazione riguarda naturalmente soprattutto le parole senza etimologia, dei termini volgari); túraḥ AS. V 2 8 per dúraḥ “porta”; pṛṇajmi Āp. XII 28 16 per pṛṇacmi di PṚC-.Possono essere intervenute influenze particolari. Sarebbe inappropriato usare questo per spiegare la diffusa confusione tra PAD-/PAT-, o la graduale eliminazione di ádha a favore di átha.
  2. Variazione tra occlusione semplice e aspirata (rara; alcune etimologie del Nir.): parasphā́na- AS. per °pā́na- ‘che protegge in lontananza’ (cfr. paipp.); sudhṛ´ṣtama- è forse da leggere sudṛ° “molto bello da vedere”.

7. Semi-vocali. - Nella serie delle semivocali (anta[]sthā, propriamente “intermedie”) - caratterizzate da un “contatto leggero” APr. o “imperfetto” RPr. - solo y è una vera e propria semivocale (sonora) (di tipo palatale, Pr.), fonicamente e funzionalmente valida per le consonanti.

  1. Nell’iniziale e in un gruppo, gli Śikṣā danno per y il valore di j (Yājñ.): questa è la pronuncia corrente tra gli YVedin, e le variazioni y/j di alcuni mantra tardivi confermano questa incertezza: pṛṇaymi Kap.III 4 MS.I 3 14 di PṚC (per *pṛṇajmi 6), yunaymi PB. I 2 1 e analoghi (soprattutto in Kap. MS. paipp.). Nel caso estremo di práüga-, v. 107.
  2. Lo scambio p/y in púṣyam AS XIX.44 5 (incerto)= puṣpam paipp. può essere grafico, ma la forma ṣy non è necessariamente da considerarsi secondaria.

Quanto a v (labiale Pr.; talvolta dentale TPr.), il cui ruolo funzionale - cioè la correlazione con u - è parallelo a quello di y/i, si tratta di una consonante che fin dall’inizio doveva essere, almeno nell’iniziale, una spirante labio-dentale (cfr. VPr.).

  1. Secondo i Śikṣā, v ha un’occlusione debole nell’iniziale delle parole accessorie; senza dubbio è stata pronunciata come semi-vocale in un caso come tvám. Più in generale, y e v sarebbero “pesanti” (= con occlusione; o come se fossero geminate?) nell’iniziale, “medie” nell’interna, “leggere” nella finale (“attenuate” secondo un autore citato TPr.). L’instabilità ipotizzata in vṛṣabhá- / ṛṣabhá- ‘maschio, toro’ (parole che spesso variano tra loro) sarebbe annullata se si ammettessero due parole diverse. Forse resterebbe vṛṣṭí- I 52 14 / ṛṣṭí- I 169 3 ‘grandezza’, vṛṇóti / ṛṇóti 76.
  2. Vi sono numerose tracce di un trattamento vocalico speciale (di “fine parola”) prima di una v (anche, in misura minore, prima di una y) cfr. 42 43 124; altri trattamenti distintivi 35 n. 3 36 n. 2 37 n.
  3. Uno scambio b / v ampiamente attestato è il prodotto di una pronuncia indecisa, che può essere favorita precocemente dalla somiglianza grafica. Non c’è una tendenza precisa (tranne che, isolatamente, un testo come paipp. favorisce chiaramente la v). Nei mantra meglio protetti, le parole con v autentica sfuggono all’instabilità, e spesso anche quelle (rare) con b autentica, soprattutto le radici che iniziano con b-. VADH- è scritto con b- qua e là in AS. e VS(K). Diverse etimologie di Nir. si basano su v>b.

8. r e l (corrispondenti funzionalmente a e sono liquide. r (repha), descritta come alveolare (“radice dei denti”) in Pr. (o, secondo alcuni maestri, gengivale) deve in realtà essere stata, o essere diventata presto, “cerebrale” (Śikṣā e Apr. comm. secondo alcuni): si spiega così l’azione “cerebralizzante” su una n 64 e la possibile confusione con .

  1. Anche l è descritto come alveolare o come gengivale. L’ampia instabilità di r / l 67 attesta una certa approssimazione tra i due fonemi.
  2. la l iniziale sembra aver causato una vocale prostetica in uloká- ‘mondo’, un doppietto di loká, scritto ovunque, falsamente, u loka-. Su írajy- e analoghi, v.36.

9. D’altra parte, esiste una (così come ḷh) che è un tipo di l “cerebrale”, nota come sostituto di una (ḍh) all’intervocalico; in teoria vale come una doppia consonante. Si trova costantemente in RS. (RPr. lo attribuisce a un maestro particolare), così in ī́ḷe per il ved. comune ī́ḍe di ĪD- e persino alla fine della parola, báḷ itthā́ “così dunque!”. Ma il cambiamento è recente, perché vīḍvàṅga- “che ha membra forti” conserva anche se la parola va letta vīḍ(ú)vaṅga - secondo 34 (pdp. vīḷú-a°) così come mīḍhvás- “generoso”. Lo stesso si trova talvolta in mantra appartenenti alle scuole ṛgvediche; ma in VSK., in AS. Libro XX e in genere nei testi di appartenenza ṛgvedica, tra cui l’ms.kaśmīriano, è accreditato l (lh) semplice invece di (ḍh): si tratta di un’anticipazione della successiva evoluzione che porta da a l. Da VPr. VIII 45 sembra emergere che la versione Kāṇva conoscerà proprio come la vulgata. Infine il Nir. riproduce i mantra, in generale, con , ma li discute impiegando l (per ) e ḍh (per ḷh).

  1. Non esiste un passaggio autentico nella RS. da (< ) a l (eventualmente, a r): iláyata (iḷayata M. Müller) I 191 6 “stai tranquillo!” è distinto da iḍ-; írā- “forza nutritiva” è probabilmente distinto anche da íḷā- “fonte di benedizione”.
  2. Nei testi noti ai mss meridionali, ḷ denota una l dravidica (grantha): così in JS. e kindred.

10. Spiranti (fricative). - Spiranti (ūṣman) - fonemi aperti secondo Apr. - consistono innanzitutto in un gruppo di tre sibilanti mute. La cosiddetta sibilante “palatale” (ś) è una palatalizzata come il tedesco “ich”; la sibilante “cerebrale” () è una sibilante pura, entrambe funzionalmente correlate ad alcune occlusive. La terza, s (post-)dentale, è la sibilante abituale, completamente autonoma.

  1. La confusione tra le tre sibilanti (soprattutto tra ś e s) ha lasciato tracce negli mss e nelle variazioni tra i mantra (quindi, attraverso il paipp.); è alla base di molte etimologie del Nir. Ma a volte è assimilativo o dilatorio, così súśaṃsāsaḥ AS. “che lodano bene” è scritto súsaṃśāsaḥ; śám u santu MP. I 1 10 scrive sám u śantu; ṣā́ṭ (ºṣā́ṭ) e simili, da SAH- 148. Dobbiamo naturalmente isolare il caso delle normali assimilazioni in contatto 79.
  2. Eccezionale il caso di KŚĀ- MS. e (una volta, nel testo edito) KS. come variante di KHYĀ-; kśā- sembra essere un ampliamento di (ca)kāś- (come PRĀ- di PṜ,- e analoghi), e khyā- deve attestare la forza aspiratoria (cfr. infra) sprigionata dalla sibilante palatale (allitterata in y).
  3. Si noti la pronuncia attuale (anche antica?) di kh per īṣ in YVedin.

La parola ūṣman implica l’esistenza di una forza aspiratoria, che in effetti si manifesta (almeno per s) in circostanze eccezionali 49 125; il paipp. dà sth per st qua e là, quindi XX 34 2. Non esiste una sibilante sonora; la r prende il suo posto, almeno in saṃdhi. Ma certe evoluzioni fonetiche potrebbero avvenire solo attraverso z* (zh) 27 e, più spesso, attraverso ẓ* (ẓh) (sibilante cerebrale sonora semplice o aspirata) 27 55 61 73.

11. Un ūṣman finale è la h aspirata pura, che esiste dopo vocale (o anusvāra), così come dopo r. Funzionalmente è un’occlusiva sonora, essendo in scambio con le palatali o cerebrali sonore, ma fonicamente è un’aspirata autonoma (non combinata con un elemento occlusivo come le aspirate del tipo kh gh), metà sonora e metà sorda (cfr. TPr.); il luogo di articolazione è la laringe (il torace RPr. secondo alcuni maestri; luogo condizionato dalla vocale che segue, TPr. secondo alcuni). Si trova solo in ambienti limitati. Secondo la RPr. le consonanti hanno una durata di ½ mora (solo Apr. dà una mora; la Vy. Śikṣā abbassa la durata a 1/4 di mora per consonante davanti consonante.

12. Fonemi accessori. - La lingua possiede diversi fonemi accessori, soggetti a precise condizioni, che la RPr. classifica uniformemente tra gli ūṣman.

a) L’anusvāra (“suono successivo”) è una nasale (sorda RPr.) che segue una vocale e si differenzia dalle altre nasali per il fatto che non ha un luogo di articolazione proprio: quindi un’emissione nasale. L’RPr. la considera mista tra lo stato di vocale e quello di consonante.

b) D’altra parte, esiste una vera e propria vocale nasale (raṅga) che viene designata più precisamente con il termine anunāsika “nasalità successiva”.

È difficile stabilire il confine tra i due fonemi. APr. conosce solo la vocale nasale pura (così come TPr., almeno in parte). RPr. VPr. definiscono una vocale o una consonante che si aggiunge al fonema precedente; alcuni Śikṣā e commentari insegnano una consonante gutturale; l’uso moderno sembra distinguere la vocale nasale da un lato, la risonanza (parzialmente gutturale) dall’altro.

Gli mss sono fluttuanti e gli editori tendono a normalizzarli. La notazione per , che si associa all’anunāsika (e che include nella nāgarī un ardhacandra talvolta attribuito), è usuale solo per le n posticce alla fine della parola 95 o nei saṃdhi 115 117 (RPr. XIV 37 che indica l’anusvāra come un difetto); c’è esitazione per alcuni saṃdhi di m e n finali (128-30 132). L’altra notazione, quella di (o ), che è associata ad anusvāra, si applica altrove: quindi, nella maggior parte dei casi alla finale; anche all’interno della parola prima della spirante 66 (tranne che in Apr.), così come prima l’occlusiva, almeno laddove (per negligenza) ci si è astenuti dall’annotare la nasale precisa rispondente al luogo articolatorio dell’occlusiva (secondo 66): così M. Müller mantiene la grafia degli mss dando íṃdra- síṃdhu- áṃgiras-; Aufrecht distingue, con e , una terza nasale che annota (distinta dalla nasale gutturale che annota ñ) e che riserva alla situazione prima della spirante interna.

In breve, è molto dominante, almeno in RS. VS. AS; progredisce in SS. e in YV. (VS. a parte). La situazione generale è confusa; i mantra tardivi tendono a seguire l’uso della prosa circostante.[1]

13. c) il visarjanīya (o: visarga) (“il mandare avanti”), notato , è un soffio molto debole e smorzato (situato come h nel Pr.), che segue una vocale (per inciso, una ). Si trova alla fine delle parole e in posizioni correlate.

La teoria conosce come sostituti del visarga davanti p e k, rispettivamente, l’upadhmānīya (suono labiale, nota ) e il jihvamānīya (suono gutturale, nota ) che sono talvolta attestati negli mss (143), quindi nel Kh. e nel paipp.

Secondo RPr. ḥ è un tutt’uno con la vocale precedente, come ; fa posizione in linea di principio; tuttavia, all’intervocalica, accade che (anche , del resto) sia, sotto l’effetto del saṃdhi, trattato comme inesistente 132 141.

  1. I teorici insegnano nasalizzazioni non scritte:

a) le nasali y l v alla fine delle parole; b) i “gemelli” (yama), fonemi inseriti tra occlusiva e nasale e consistenti in una parziale nasalizzazione dell’occlusiva; c) tra h e nasale, chiamiamo dei suoni analoghi, più comunemente chiamati nāsikya, ad esempio áh(h)nnām (“dei giorni”). Secondo RPr. si tratta di sostituti delle occlusive. Uvaṭa ne conosce fino a venti; sono mute o sonore.

L’abhinidhāna è il ridimensionamento o la velatura della parte implosiva di un’occlusiva situata nella pausa o prima dell’occlusiva (RPr.); eventualmente anche lo schiacciamento di una semivocale nella stessa posizione. Questo è l’effetto di una giunzione consonantica imperfetta, mentre la giunzione normale (saṃyoga) comporta un avvicinamento del luogo articolatorio della consonante anteriore alla consonante posteriore. Le opinioni divergono sulla portata del fenomeno. Si parla anche (APr.) di sphoṭana o “divisione” di un’occlusiva prima di un’altra occlusiva più arretrata, quindi di t nel gruppo tk pronunciata t·k: ad eccezione di abhinidhāna. Il dhruva in RPr. è una risonanza consecutiva in abhinidhāna.

RPr. segnala vari errori nella pronuncia dei gruppi, in particolare per assimilazione o inserimento della nasale.

15. Durata dei fonemi. - L’intervallo tra i fonemi è di ¼ di mora (Ṛkt.), tranne che nei gruppi consonantici dove non c’è intervallo. ¼ di mora è anche la durata assegnata alla svarabhakti ordinaria (39), allo iato; 1/8 alla svarabhakti breve, allo sphoṭana 14; ½ alla svarahhakti lunga, alla dopo la lunga; una mora all’avagraha (= separazione di membri composti o di alcuni elementi di parola in pdp. ), alla solita pausa; 2 more alla vocale situata alla pausa; 3 more a pluti 93 e alla pausa alla fine della strofa. Abbiamo visto sopra (1 e 3) la durata della vocale, così come (11) della consonante. Sulla sillaba, v. 79.

16. Frequenza dei fonemi. – Per quanto riguarda 540 a (breve) tratto da un passo della RS. (antico), di cui 85 sono alla fine della parola, troviamo rispettivamente:

177 ā (di cui 59 in fine di parola) 154 r (17) 143 t (8) 142 i (41) 128 V (5) 125 n (15) 117 m (34) 104 y (3) 86 s (5) 76 u (23) 75 d (13) 72 e (32) 63 o (44) 62 p (0) 44 ś (5) 44 j (2) 44 dh (0) 41 (1) 39 (38) 34 (30) 34 bh (0) 30 h (0) 29 ī (4) 27 k (0) 27 (0) 25 c (3) 19 (0) 17 b (0) 14 ū (1) 14 g (0) 13 th (0) 8 ch (0) 8 gh (0) 7 (0) 6 (4) 6 ai (4) 4 au (3) 3 kh 2 ḷ 2 ñ 2 2 l - ṭh ḍh ph jh ṝ ḍ ḷ ḷh nihil.

Gruppi frequenti sono consonante + semivocale (y r v); consonante + nasale (o il contrario); sibilante + occlusiva (o nasale); occlusiva + occlusiva. Non mancano gruppi di tre o addirittura quattro consonanti.

La RPr. dà le semivocali aspirate ( non incluse) come non probabili finali, e le occlusive palatali come non probabili iniziali ṝ ḷ ḥ ṃ jh ñ e cerebrali come non probabili combinate, una serie di consonanti.

17. Geminazione e degeminazione. - A parte rare parole espressive (tipo akhalīkṛ´tyā “pronunciando il grido akhkhalā”, a parte i contatti tra due consonanti identiche appartenenti a due elementi grammaticali distinti, le geminate risultano da un’assimilazione di consonanti all’interno della parola (79) o in saṃdhi; hanno frequenza solo in alcuni gruppi limitati.

Esiste invece un fenomeno esteso (krama) che consiste nella geminazione spontanea di

a) qualsiasi consonante (preceduta da una vocale o da ) prima di una consonante (seguita da una vocale), come ad esempio aggní- per agní- “fuoco”;

b) qualsiasi consonante non finale (tranne una spirante) dopo r (l) o (facoltativamente RPr.) dopo h, come árttha- per ártha- “scopo”. Gli mss riportano la geminazione in modo abbastanza diffuso, anche se non uniforme; gli editori la standardizzano eliminandola. Ovviamente, la pronuncia abituale tendeva, forse soprattutto nei mantra solenni, ad aumentare l’ampiezza di una consonante che compariva come primo elemento (o, meno spesso, come secondo) di un gruppo; il taglio sillabico (79) favoriva questa tendenza, e da muk/tá ‘liberato’ si finiva facilmente con mukktá-. Oggi la geminazione è evidente, anche in un gruppo anunāsika come hitám̐ yáḥ, pron. hitám̐yyáḥ.

18. Di conseguenza, la grafia talvolta degemina quando c’è un contatto tra due consonanti identiche appoggiate su un’altra consonante, come in varta 2° pl. di VṚT-, per vartta; analogamente āsva Ap. XII 5 2 di ĀS-, per āssva, śāsva VS. XXI 61 che varia con śāssva (possibile influenza di trā́sva, cakṣva 59); nel tipo rundhé di RUDH-, per runddhé 323, dove potrebbe aver agito l’analogia proveniente da bhaṅgdhi>bhaṅdhi di BHAÑJ- 66. Gli mss danno spesso satrá- “riunione” da SAD- e suffisso -tra- (VPr.) e analogamente pátra- “ala”, áyudhvī “senza combattere”.

Alla fine della parola, hṛdyotá- AS. “che brucia nel cuore”, per hṛd- (ma la pdp. ha hṛ-d°), o tá tvā Nir. II 1= tát t° La separazione delle parole non ostacola in alcun modo questo sviluppo.

TPr. conosce persino la geminazione per una consonante intervocalica, APr. per una consonante di pausa. Il caso citato da TPr. si trova solo in forme rare come ākkhidate TS. IV 5 90 (che riflette un *skhid-?) alla fine della parola, in sā́danāt te TĀ. V I7 1= sā́daṇā te, e pochi altri. Al contrario, il VPr. insegna la pronuncia semplice per le geminate intervocaliche, tipo datá- “dato”, per dattá-. Questo spiegherebbe jósi 59, bodhí da BUDH- 48 (yódhi da YUDH-?), ma alla creazione di queste forme hanno contribuito influenze esterne, cfr. 74. Alla fine della parola, yame dīrghám AS. XVIII 23 per yamed e altri.


[1] Trascriviamo qui uniformemente con









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