काल

ricerche, spunti e annotazioni nel tempo

agni
agni

agni è una figura divina molto importante, non solo per gli uomini, come mezzo di purificazione perché, nel bruciare le impurità, li eleva all’immortalità. Ma anche per le divinità stesse, che pure hanno raggiunto l’immortalità grazie a agni. Rileggendo gli straordinari tre tomi di Abel Bergaigne (sto pubblicando la parte riguardante agni nella sezione di approfondimenti jñānābhyāsa) “La religion védique dans les hymnes du ṛgveda” mi ha colpito questo verso tratto dal maṇḍala VI.7.4 del ṛgveda. Allego pure l’audio tratto dal sito di Aurobindo con la recitazione, convinto che i veda sono soprattutto suono, śabdabrahman!

Traduzione

condivido volentieri un interessante post del prof. Marcello Meli riguardante la traduzione dal sanscrito. È pubblicato nel gruppo Facebook “Impariamo il sanscrito”

jñānābhyāsa

Oggi ho aggiunto una nuova rubrica: jñānābhyāsa.

śiva
śiva

śiva / post di Diego Manzi

L’immagine antropomorfa più diffusa di Śiva lo mostra bello, cosparso di cenere, vestito di bianco e indossante una pelle di tigre o di elefante, con il cordoncino sacro, con tre occhi, con una luna crescente sulla fronte e con due orecchini: uno a forma di makara e l’altro, simboleggiante la sua paredra, circolare e con un foro al centro. Dai suoi capelli arruffati e sovente raccolti in una specie di crocchia, poi, scorre la bianca Gaṅgā, mentre al collo reca una collana di perle e alcuni serpenti. Le quattro braccia con le quali è raffigurato il dio, infine, recano di solito i seguenti attributi: un tridente, una scure, il gesto di allontanare la paura e quello di concedere la grazia. Ciononostante, non mancano raffigurazioni inclusive di altri attributi come la lancia Pāśupata, l’antilope rampante, l’arco Pināka, una mazza, un cappio, la ghirlanda di rudrākṣa, oppure il tamburello a forma di clessidra. Non mancano neppure immagini del dio, in cui quest’ultimo reca il rosario, il tamburello e il tridente, il quale, oltre al dominio sui tre mondi, sta ad indicare il dominio sulla triplice matrice dell’ego: il corpo, la mente e l’intelletto. Solitamente, sullo sfondo di queste rappresentazioni del dio si vede il monte Himālaya con la cima innevata, la quale simboleggia la purezza assoluta della mente necessaria al meditante per scorgere la propria divinità. Ciononostante, va altresì evidenziato che gli occhi di Śiva non sono né chiusi (indice di totale rinuncia al mondo), né aperti (indice di inclinazioni intramondane). Il dio, infatti, è rappresentato con gli occhi socchiusi (samabhāvī-mudrā), ad indicare piuttosto che una parte, il corpo, può essere coinvolto nel mondo; mentre un’altra parte, lo spirito, deve essere necessariamente sottratta dalle dinamiche terrene.

sarasvatī
sarasvatī

Oggi condivido un post di Diego Manzi, che propone un estratto del suo libro “Incanto, le divinità dell’India.”

“Dietro l’iconografia di Sarasvatī sono sottesi svariati e profondi significati. La base di loto sulla quale è seduta indica che la dea è fermamente stabilita nella suprema realtà e nell’unica verità. Il loto che reca nella mano superiore destra indica il fine supremo dell’uomo, ossia la realizzazione del sé, il quale può essere raggiunto, in buona sostanza, per mezzo di due sentieri: quello devozionale (bhakti-yoga), imperniato sulla musica (bhajana e kīrtana), e quello della conoscenza (jñāna-yoga), imperniato sullo studio delle sacre scritture. Entrambi i sentieri, in definitiva, sono rammentati dagli altri due attributi di Sarasvatī, la vīṇā e il Veda, che essa reca, rispettivamente, fra la mano inferiore destra e la superiore sinistra e la mano inferiore destra. Ma vi sono anche altre possibili interpretazioni. Come si diceva, nella mano inferiore sinistra Sarasvatī reca un libro, il quale potrebbe rappresentare l’area delle scienze secolari; mentre la mano inferiore destra e la superiore sinistra recano la vīṇā, quasi a simboleggiare che le scienze meramente intellettuali sono aride ed austere senza i sentimenti e le emozioni mosse dalla musica e, in generale, dalle arti. Ciononostante, la mālā che reca nella mano superiore destra, invero, parrebbe suggellare la superiorità della meditazione e dello yoga sulle scienze secolari e, in definitiva, duali.”

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