śrī rudram

rudra namakam anuvāka 2 - ṛk 2



namo vṛkṣebhyo harikeśebhyaḥ paśūnāṃ pataye namo |
| namaḥ | vṛkṣebhyaḥ | harikeśebhyaḥ | paśūnām | pataye | namaḥ |

Omaggio (namaḥ) agli alberi (vṛkṣebhyaḥ), alle foglie verdi (harikeśebhyaḥ), al Signore (pataye) degli animali (paśūnām), omaggio (namaḥ) |
Omaggio agli alberi, alle foglie verdi, al Signore degli animali, omaggio. 

traduzione di Rajagopala Aiyar Versione 1
Omaggio agli alberi coronati da foglie verdi come capelli, omaggio al Signore delle mandrie.
Versione 2
Saluti agli alberi adornati di foglie verdi; omaggio al Signore delle mandrie.

esplorando i commentari
1. sāyaṇācāryabhāṣyam
haritvarṇāḥ keśāḥ parṇarūpā yeṣāṃ te harikeśāstādṛśebhyo vṛkṣebhyo vṛkṣākārarudramūrtibhyo namo 'stu ।
yo rudraḥ paśūnāṃ pālakastasmai namo 'stu ।

Saluti (namo astu) alle forme di albero che sono Rudra (vṛkṣākārarudramūrti), agli alberi (vṛkṣebhyaḥ) con ciuffi di foglie verdi (haritvarṇāḥ parṇarūpā). Harikesha (harikeśāḥ) è ciò che ha ciuffi verdi (haritvarṇāḥ) fatti di foglie (parṇarūpā). Inchini (namo astu) a Rudra (yo rudraḥ), il protettore degli animali (paśūnāṃ pālakas).

2. Bhaṭṭabāksara
Bhaṭṭabāksara cita un testo della śruti che definisce il termine paśupati.
yeṣāmīśe paśupatiḥ paśūnāṃ catuṣpadāmuta ca dvipadāṃ |(taittiriya saṃhitā - yajurveda 3.1.4.4)
Di questi, Paśupati è il signore, degli animali (paśūnām), sia quattro zampe (catuṣpadām) che bipedi (uta ca dvipadām).
Inoltre, il liṅga purāṇa afferma che:

brahmādyāḥ sthāvarāntāśca paśavaḥ parikīrtitāḥ ।
teṣāṃ patitvādviśveśo bhavaḥ paśupatiḥ smṛtaḥ ॥

[Tutti gli esseri], da Brahmā (brahmā ādyāḥ) agli immobili (sthāvara antāḥ ca)[come un ciuffo d'erba], sono chiamati (parikīrtitāḥ) paśu (paśavaḥ). Essendo il Signore (patitvād) di questi (teṣāṃ - dei paśu), Śiva (bhava), il sovrano del mondo (viśveśaḥ), è considerato (smṛtaḥ) Paśupati (paśupatiḥ).
Il mahābhārata afferma:

sarvadā yatpaśūnpāti taiśca yadramate punaḥ ।
teṣāmadhipatitvācca tasmātpaśupatiḥ smṛtaḥ ॥

Protegge (pāti) sempre (sarvadā) gli animali (paśūn) e (ca) si diletta (ramate) ancora (punaḥ) con loro (taiḥ). E (ca) a causa della sua sovranità (adhipatitvāt) su di loro (teṣām), per questo (tasmāt) è ricordato (smṛtaḥ) come il Signore degli animali (paśupatiḥ).

vedi anche il post nel blog kāla

Una spiegazione di "paśu" e "paśupati" si trova anche nel jābālyupaniṣad del sāmaveda:
(Jābāli disse:)

paśupatirahaṃkārāviṣṭaḥ saṃsārī jīvaḥ ।
sa eva paśuḥ ।

L'essere vivente (jīvaḥ), impegnato nel ciclo delle nascite e delle morti (saṃsārī), è Paśupati (paśupatiḥ) rivestito del senso dell’ego (ahaṃkārāviṣṭaḥ). Lui stesso (sa eva) è paśu (paśuḥ).

sarvajñaḥ pañcakṛtyasaṃpannaḥ sarveśvara īśaḥ paśupatiḥ ।
L'onnisciente (sarvajñaḥ), il signore di tutto (sarveśvara) [e dotato del potere di compiere] i cinque tipi di azioni (pañcakṛtyasaṃpannaḥ), [è] Paśupati (paśupatiḥ).

Upaniṣadbrahma Yogin nel suo commento cita il Vārtikakāra:
kāraṇaṃ kāryamutpādya kāryatāmiva gacchati iti vārtikakārokteśca ।
Il commentatore della Vārtika (vārtikakāra) afferma che (ukteḥ iti), la causa (kāraṇaṃ) dopo aver prodotto (utpādya) l’effetto (kāryam) diventa come se fosse (iva) l'effetto (kāryatām).Nota 1

ke paśava iti punaḥ sa tamuvāca ॥
Egli (saḥ)(Paippalādi) chiese (uvāca iti) di nuovo (punaḥ) a lui (tam) [Jābāli]: Chi (ke) [sono] i paśu (paśavaḥ)?
jīvāḥ paśava uktāḥ । tatpatitvāt paśupatiḥ ॥
I jīva (</i>jīvāḥ</i>) sono chiamti (uktāḥ) paśu (paśavaḥ).
Egli [Śiva] (tat) essendo simile a questi (patitvāt) [è] paśupati (paśupatiḥ).

sa punastaṃ hovāca kathaṃ jīvāḥ paśava iti ।
kathaṃ tatpatiriti ॥

Egli [Paippalādi](saḥ) disse (hovāca iti) ancora (punaḥ): "Come (katham) questi jīva (jīvāḥ) [possono essere] i paśu?
In che modo (kathaṃ) Quello [tat] è simile (patit) [ai paśu]?

sa tamuvāca yathā tṛṇāśino vivekahīnāḥ parapreṣyāḥ kṛṣyādikarmasu niyuktāḥ sakaladuḥkhasahāḥ svasvāmibadhyamānā gavādayaḥ paśavaḥ ।
yathā tatsvāmina iva sarvajña īśaḥ paśupatiḥ ॥

Quello [Jābāli] (saḥ) ancora disse (uvāca) a lui (tam): Proprio (yathā) come gli animali che mangiano l'erba (tṛṇāśinaḥ), che sono privi di discriminazione (vivekahīnāḥ), che sono guidati da altri (parapreṣyāḥ), che sono impegnati in occupazioni come l'agricoltura (kṛṣyādikarmasu) e così via (ādi), che sopportano (sahāḥ) ogni tipo (sakala) di dolore e di pena (duḥkha) e che sono vincolati (badhyamānā) dal proprio (sva) padrone (svāmin),
come (yathā) il padrone di questi (tatsvāmina) [animali] così (iva) è l'onnisciente (sarvajña) Īshvara (īśaḥ), paśupati (paśupatiḥ).


upanishhad brahma yogin risponde alla domanda: Che cos'è pāśa, la catena che lega i paśu?
svājñānapāśena badhyanta iti paśavaḥ |
Poiché (sva iti) sono legati (badhyanta) dalla catena (pāśa) dell'ignoranza (ajñāna), [sono chiamati] paśu (paśavaḥ).

3. Rajagopala Aiyar
1. harikeśebhyaḥ: È una parola espressiva che paragona gli alberi agli uomini con ciocche di capelli, rappresentate dalle loro foglie verdi.
Il veggente del Rudram nutre un profondo amore per la Natura, con una particolare sensibilità per i colori, tracce dei quali si ritrovano nei versi. La sua predilezione, tuttavia, è rivolta verso il verde: non solo l'intenso verde delle foglie, ma ancor più verso il delicato verde dell'erba. Bhāskara nota che in questi passaggi viene menzionato il verde, colore associato al secondo dei pañcabrahma
2. vṛkṣebhyaḥ:
Sāyaṇa: La mūrti di Rudra si manifesta sotto forma di alberi.
Bhāskara, inizialmente, attribuisce il significato menzionato precedentemente. Alternativamente, interpreta che i Rudra risiedono negli alberi.
Inoltre, secondo l'interpretazione della radice di "Brahma", ogni entità, dall'essere supremo Brahma fino alla formica, e tutti i mondi, dal regno celestiale di Brahma fino alla Terra, sono destinati alla distruzione.
In questo ciclo di esistenza transitoria, i Rudra rappresentano il nucleo spirituale o l'anima.
Il significato attribuito da A. Śaṅkara sarà esaminato in dettaglio successivamente.
3. paśūnām pataye:
Sāyaṇa: protettore delle mandrie.
Bhāskara: le mandrie appartenenti a Rudra, sia bipedi che quadrupedi, dei quali Egli è il signore e maestro. Come? Un testo afferma "Egli, Dio, è paśupati a causa del Suo dominio sui paśu — bestiame, sia quadrupedi che bipedi."
Il liṅgapurāṇa afferma "Tutte le cose, da Brahma fino agli elementi inanimati, sono descritte come paśu. Il signore dell'universo è chiamato paśupati poiché ne è il Signore". Dice il mahābhārata "Poiché Dio protegge sempre tutti gli esseri e gioca con loro, Egli è il loro sovrano, e quindi è chiamato paśupati."
A. Śaṅkara critica i suoi predecessori per la loro inadeguatezza su questo yajus.
Il suo commento è vivace e merita di essere letto integralmente. Interpreta la parte finale di ciascun yajus come la conclusione o affermazione e la parte iniziale come il hetu (o motivo, ragione o causa che supporta la tesi), affermando che entrambi dovrebbero essere letti come un tutt'uno e non separatamente.
Dice che vṛkṣa qui è l'albero del saṃsāra come indicato nella kaṭhopaniṣad e nella bhagavadgītā.
Le foglie verdi sono i chandas o porzioni del karmakāṇḍa (vedi nota 7 NA1 ṛk 8) dei Veda composte dai guṇa sattva, rajas e tamas. Rudra si manifesta sotto forma di questo saṃsāra. Egli lega tutte le creature con le corde del saṃsāra, che sono quindi paśu, e Rudra è il loro pati (Signore) poiché le fa eseguire il Suo lavoro. Libera anche i Suoi devoti e li rende liberi dal saṃsāra.nota 4


Note del curatore:
  1. Questo commento è una riflessione sulle relazioni tra il divino e il mondo manifesto. Potrebbe essere interpretato come il riconoscimento che Rudra, sebbene sia la causa primaria di tutti gli esseri viventi (paśu/jīva), si manifesta anche come parte del suo stesso creato, partecipando direttamente al ciclo della vita. In questo modo, Rudra non è solo l'origine ma diventa anche l'identità immanente all'interno della creazione. Questa dualità di Rudra, essere sia il creatore (kāraṇa) che parte della creazione (kāryam), è un esempio della visione non dualistica, dove il divino è visto non solo come l'artefice dell'universo ma anche come il tessuto fondamentale dell'esistenza stessa. L'atto di onorare Rudra è quindi un riconoscimento della sacralità di ogni forma di vita e della presenza del divino in essa. L'idea che la causa diventi l'effetto rimanda anche al concetto di līlā, o il gioco divino, dove il supremo partecipa al mondo fenomenico non per necessità, ma per un atto di libera espressione, gioia e divertimento. In tal modo, l'intera creazione può essere vista come una manifestazione del divino gioco di Rudra, un campo dinamico dove il creatore “sperimenta” sé stesso in infinite forme e modalità.
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  2. Il concetto di pañcabrahma si riferisce a una dottrina specifica dello śivaismo (śaivasampradāyaḥ) e delle sue scuole filosofiche, che descrive cinque aspetti o manifestazioni di Śiva come il supremo Brahman.
    Questi cinque aspetti rappresentano diverse funzioni cosmiche e sono spesso associati alla creazione, al mantenimento, alla distruzione, all'occultamento e alla grazia. Ecco una breve descrizione di ciascuno:
    sadyojāta: Associato alla creazione, sadyojāta rappresenta l'aspetto di Śiva che dà origine a tutte le cose. È talvolta associato all'elemento terra.
    vāmadeva: Questo aspetto è legato alla preservazione e al mantenimento dell'universo. vāmadeva è anche associato all'elemento acqua.
    . aghora: Associato alla distruzione e alla dissoluzione, aghora è l'aspetto che riassorbe l'universo al termine del ciclo cosmico. È spesso collegato all'elemento fuoco.
    tatpuruṣa: Questo aspetto di Śiva è legato all'occultamento e alla velatura della realtà ultima agli occhi degli esseri non illuminati. tatpuruṣa è associato all'elemento aria.
    īśāna: Rappresenta la grazia divina che rivela la verità suprema e concede la liberazione (mokṣa). īśāna è associato all'elemento etere (spazio) e considerato il culmine delle manifestazioni di Śiva.
    Il concetto di pañcabrahma enfatizza la natura onnicomprensiva e multifunzionale di Śiva nell'universo, illustrando come il divino operi attraverso differenti aspetti per il ciclo cosmico dell'esistenza. Questa dottrina è particolarmente sottolineata nei testi tantrici e agamici dello śivaismo, dove le diverse manifestazioni di Śiva vengono adorate e contemplate come espressioni del divino. Torna al testo

  3. Il termine mūrti si riferisce a una forma, incarnazione o immagine, spesso utilizzato nel contesto della spiritualità e del culto indù per indicare le rappresentazioni fisiche delle divinità. Queste rappresentazioni possono essere scolpite in pietra, legno, metallo, o create con altri materiali, e sono adorate nei templi e negli altari domestici come manifestazioni tangibili degli dei.
    Le mūrti non sono semplici statue o icone; sono venerate come entità sacre che ospitano l'essenza divina. Durante i rituali e le cerimonie, si crede che le divinità stesse siano presenti nelle mūrti, permettendo ai devoti di offrire preghiere, fiori, cibo e altri omaggi direttamente alla divinità.
    Oltre alla rappresentazione fisica nei templi, il concetto di mūrti può anche estendersi a rappresentazioni più astratte di Dio o della realtà ultima, come forme di energia o qualità divine. In questo senso, mūrti enfatizza l'idea che il divino può manifestarsi in molteplici forme e attraverso vari aspetti del creato.
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  4. Nel suo commento a questo verso del Rudram, Abhinava Śaṅkara offre un'interpretazione simbolica profondamente radicata nei concetti dell'advaita vedānta, utilizzando metafore ricche per esplorare la natura del saṃsāra, dei guṇa e del ruolo di Rudra nell'universo.
    vṛkṣa come l'Albero del saṃsāra: Abhinava Śaṅkara identifica gli alberi (vṛkṣa) menzionati nel verso con l'albero metaforico del saṃsāra, concetto presente nella kaṭhopaniṣad e nella bhagavadgītā. L'albero del saṃsāra simboleggia l'esistenza ciclica di nascita, vita, morte e rinascita, sottolineando la complessità e l'intreccio delle azioni e delle loro conseguenze che legano gli esseri al mondo fenomenico. Le Foglie Verdi come i chandas: Le foglie verdi degli alberi sono paragonate ai chandas, le metriche dei veda, che a loro volta sono composte dai tre guṇa di sattva (equilibrio), rajas (attività) e tamas (inerzia). Questa analogia suggerisce che le pratiche rituali e i versi vedici, pur essendo mezzi per la pratica spirituale, sono anch'essi intrinsecamente legati alla natura dualistica del saṃsāra, influenzati dalle qualità materiali.
    Rudra e il saṃsāra: Rudra si manifesta come l'essenza stessa del saṃsāra. Attraverso le sue azioni, lega tutte le creature (paśu) con le corde del saṃsāra, simboleggiando il modo in cui gli esseri sono vincolati alla ruota dell'esistenza a causa della loro ignoranza e attaccamento. Tuttavia, Rudra è anche colui che offre la via della liberazione, liberando i suoi devoti dalle catene del saṃsāra e conducendoli verso la realizzazione del sé e la liberazione finale (mokṣa).
    Liberazione dai guṇa e dal saṃsāra</b>: Infine, Abhinava Śaṅkara enfatizza il ruolo di Rudra come liberatore, sottolineando che, sebbene le pratiche vediche siano impregnate dei guṇa, la grazia di Rudra può guidare gli esseri oltre il saṃsāra, oltre i limiti imposti dai guṇa, verso la conoscenza della propria vera natura immutabile (ātman) che è una con brahman.
    Questo commento riflette la visione non-duale dell'advaita vedānta, riconoscendo l'esistenza del saṃsāra e dei guṇa, ma sottolineando anche la possibilità di trascendere questa realtà fenomenica attraverso la realizzazione spirituale e la grazia divina.
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La recitazione è dei Challakere Brothers.
Su www.saiveda.net il tutorial per la recitazione: tutorial


namaḥ, nom. sg. di namas-, saluto reverenziale, omaggio;

  • namas-, sn. nom., inchino, riverenza, omaggio, adorazione (con atti o parole), adorazione, rispettosa obbedienza; inchino, l’inchino a mani giunte dedicando, con l’unione delle dieci dita, i dieci sensi alla divinità. È il simbolo esteriore dell’abbandono interiore.
  • √nam-, vb. cl. 1 P., curvare, piegare, cedere a, sottomettersi o piegarsi; dare, concedere, donare; arrendersi, sottomettersi

vṛkṣebhyaḥ, sm., dat. , pl. di vṛkṣa-, alberi

harikeśebhyaḥ-, agg. dat. pl. m. di harikeśa-, dai capelli biondi (RV; MBh); dalle foglie verdi

  • hari-,agg. fulvo, bruno-rossastro, bruno, giallo pallido, giallo; sm. colore giallo, bruno-ros- sastro o verde; viṣṇu
  • keśa-,sm. I. capello (AV; VS; SBr);
  • L’aggettivo harikeśa normalmente significa “dai capelli biondi”, ma in questo contesto si riferisce alle “foglie verdi” degli alberi omaggiati prima.
  • Un’altra interpretazione è che hari derivi dal verbo “√ hṛ-“ cl. 1, “portare via, derubare, rubare, conquistare”. In questo senso, viṣṇu è “colui che rimuove il male, il peccato o le avversità”. Da questa radice deriva anche il nome hara, che si riferisce a śiva, “il distruttore del mondo” al termine dei tempi (pralaya). harī (e harā) si riferisce all’energia di śiva, personificata nella dea parvatī. harihara è un composto che unisce viṣṇu e śiva.

paśūnām, sm. gen. pl. di paśu-, degli animali

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